AL DI LA’ DEL MEKONG

La mimesi del male

In questi ultimi giorni l’ennesima escalation di violenza e morte impone una riflessione che ci consenta di andare alla radice di quella “terza guerra mondiale a pezzi” più volte richiamata da papa Francesco.

 

Lo facciamo attraverso connessioni improbabili ma utili a dare il giusto nome a ciò che accade. Consideriamo dunque l’errore commesso dagli aerei della Nato durante il raid sull’ospedale di Kunduz in Afganistan, che ha causato 19 morti e 37 feriti, insieme a quanto commesso da Christopher Harper-Mercer nel College in Oregon, Usa, che ha invece causato la morte di 9 persone. Nel primo caso, scattata la copertura politica, si è parlato di un “errore”, mentre nel secondo di un “orrore”, ma è quest’ultimo orrore a rivelare la vera natura del primo errore. Come se la pazzia, così evidente nell’eccidio in Oregon, ci aiuti a nominare la pazzia scesa in campo con i raid aerei della Nato. Perché se è pazzo chi trasforma un campus di studenti in un campo di battaglia, allo stesso modo è pazzo chi, con l’urgenza di colpire e uccidere, confonde un ospedale con un possibile rifugio di ribelli. Ciò che accomuna questi casi è dunque la pazzia, patologica o militare che sia. La prima ci aiuta a nominare la seconda. Si potrà edulcorare l’orrore di un’operazione militare devastante come quella scagliata contro l’ospedale di Kunduz chiamandola “errore”, giustificando in questo modo tutta la strategia militare in atto, ma resta il sospetto che non si stia chiamando il male con il suo proprio nome. Si preferisce un linguaggio anestetico, edulcorato, politicamente corretto che ammanta il male di fatalità, di errore, ma così facendo il male si mimetizza, e procede indisturbato. Anzi, proprio questa mimesi è la sua forza politica.

Non ci bastano quelle spiegazioni che riducono le drammatiche conseguenze del raid aereo Nato sull’ospedale di Medici senza Frontiere, a “collateral damage”. Il rischio tutto nostro di questa strategia mimetica del male è che rende impossibile la ricerca delle sue cause. Facilmente archiviato come “collateral damage” o edulcorato con giustificazioni parziali, è destinato a ripetersi generando assuefazione ed indifferenza.

Infatti, non destano alcun problema le altre operazioni militari in corso. V’è pazzia anche nei 60 raid russi sulla Siria compiuti nelle ultime 72 ore. Eppure, sembrerebbero legittimati dalla strategia contro il nemico dei nemici, l’Is. Fonti russe hanno infatti assicurato che dei 60 raid, 50 hanno colpito bersagli sensibili allo Stato Isalmico. Mentre gli altri dieci? E in quei 50 colpi andati a segno non vi sono forse stati “collateral damage”? Michael Fallon, segretario per la difesa britannico, ha dichiarato che, dei raid russi in corso, solo uno su venti ha nell’Is il suo target. E il resto? A chi credere? Al fronte russo che con l’Iran e la frangia sciita si ostina a sostenere Bashar al-Assad o agli Usa che con l’appoggio francese e britannico vogliono la caduta immediata di Assad a beneficio della frangia sunnita, e quindi dell’Arabia Saudita, tradizionalmente alleata di Washington? Se Francia e Gran Bretagna per il semplice fatto di essersi schierati in questo modo, hanno ulteriormente compromesso e indebolito l’unità dell’Europa, come non esprimere ancora una volta tutto il nostro appoggio per la raccomandazione di Frank-Walter Steinmeier, ministro degli esteri tedesco, di ricercare una soluzione politica che non punti a eliminare Assad, ma che si ostini a creare una coalizione più ampia tra le forze in campo? La fretta di togliere di mezzo Assad non assomiglia a un copione già visto con Saddam in Iraq e Gheddafi in Libia? Che ne è stato dei loro Paesi?

Mi convinco sempre di più che, alla fine, anche l’Is è utile sia nella veste di alleato, penso all’Arabia Saudita e al fronte sunnita, sia nella veste di nemico. In entrambi i casi e per ragioni diverse, legittima la violenza, mantiene alta la tensione, autorizza ad agire nella logica del male minore. Il resto è solo “collateral damage”. Quali sono gli interessi economici e quindi militari che muovono questi molteplici fronti? Quale male ancora si annida nelle rispettive strategie militari e che non vogliamo riconoscere, edulcorato dalle ragioni di Stato che lo giustificano?

Troppi infatti gli interessi russi che, tenendo in piedi la Siria di Assad, puntano a creare un fronte, dall’Iran, all’Iraq fino al Libano, utile a mantenere l’influenza di Mosca in una zona ricca di giacimenti dall’incalcolabile valore strategico. E troppi gli interessi USA che, privi dello stesso pragmatismo di Putin, si limitano a strategie di seconda battuta spesso, se non sempre, devastanti quanto inefficaci. Siamo solo capaci di considerazioni frammentarie e convenienti. Senza una lettura complessiva, totale, dei fatti non riusciremo mai a chiamare per nome quel male che si annida, mimetizzato dalle ragioni di Stato e dalle loddy che suggeriscono il vocabolario adeguato.