La parola: DECRESCITA

La parola: DECRESCITA

«È arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo», scrive il Papa nella Laudato si’. L’economista Stefano Zamagni: «Ma è un messaggio diverso da quello di Latouche»

Che cosa intende il Papa per decrescita?

È una parola che va letta nel contesto in cui è pronunciata, che è estremamente chiaro. Il concetto a cui fa riferimento il Papa è molto diverso rispetto a quello evocato da Serge Latouche, che intendeva un tasso di crescita negativo a livello globale. Era l’idea
di un rallentamento generale, che portava in sé l’idea di un tornare indietro, quasi un allineamento verso il basso. Al contrario il Papa parla di decrescita solo per una parte del mondo, l’Occidente ricco; e indica questo orizzonte in funzione di un riequilibrio nella possibilità di trarre vantaggi dalle risorse che la Terra offre.

Dove sta la differenza?

Papa Francesco non è contro la crescita economica in generale; denuncia il fatto che in alcune parti del mondo la crescita sia a spese delle potenzialità di altre. Per continuare a correre, l’Occidente ha bisogno di uno sfruttamento intensivo delle materie prime nei Paesi poveri, il che non è accettabile. L’obiettivo – però – non è fermare tutti, ma far sì che l’economia possa crescere nel
Sud del mondo. La ricetta non è la decrescita globale, ma una crescita sostenibile per tutti. Perché se nel 2050 saremo 9 miliardi, ci sarà bisogno di crescere nella produzione agricola. Ma – appunto – dovrà essere una crescita concentrata là dove finora le opportunità sono state minori. Questo rallentamento dell’Occidente, tra l’altro, è fondamentale per la promozione della pace nel mondo.

Che rapporto c’è tra decrescita ed energia?

Il legame è strettissimo: lo squilibrio nella crescita economica globale è parallelo a quello nello sfruttamento delle risorse  energetiche. Uno degli elementi fondamentali che il Papa richiama è la scelta per quella che Nicholas Georgescu, già nel 1972, chiamava la “bioeconomia”. Dobbiamo intraprendere sul serio la strada delle fonti rinnovabili (il sole, l’eolico…) e nello stesso tempo proseguire con l’efficientamento, cioè l’utilizzo migliore dell’energia. Perché non c’è solo lo spreco di cibo: c’è anche quello
dell’energia e non è affatto meno grave. Queste strade oggi sono percorribili e offrono risorse sufficienti per rispondere ai bisogni
energetici del mondo. Basta non lasciarsi condizionare dagli interessi delle compagnie petrolifere.

Perché il Papa parla invoca un’autorità mondiale?

Era già nella Caritas in Veritate di Benedetto XVI. Ma anche qui va capito bene che cosa si intende: non un governo mondiale,
ma un’autorità. Cioè una o (meglio ancora) più agenzie internazionali tematiche dotate di un potere sanzionatorio oltre che
di ispezione. «È un’utopia», dicono. Ma se le abbiamo già… Che cos’altro sono l’Organizzazione mondiale del commercio o la
Banca dei regolamenti internazionali di Basilea? E i poteri sanzionatori queste istituzioni li hanno e li usano. Se succede per
le banche o per il commercio, perché non per la tutela dell’ambiente o – altro tema caldissimo – la gestione dei flussi migratori?
Non un “grande fratello”, ma istituzioni che – nel rispetto di tradizioni e culture – promuovano il bene comune.

Decrescita significa disoccupazione?

Chi lo sostiene è un incompetente in economia. Oggi è vero esattamente il contrario. Carl Frey e Michael Osborne sostengono
che nei prossimi quindici anni negli Usa sarà l’automazione – scelta per stare al passo con i ritmi esasperati di crescita – a portare
all’espulsione del 47% della forza lavoro. Oggi più cresci in quel modo e più crei disoccupazione, altro che lavoro. Ma c’è un’alternativa: la scommessa sui beni relazionali più che di consumo. Dobbiamo smetterla di pensare che il lavoro si genera solo
costruendo più automobili. Anche i beni immateriali generano ricchezza: la cultura, i servizi alla persona… Dobbiamo  riconcettualizzare l’idea di crescita, anche lo stesso modo di misurare il Pil. E ci arriveremo.

 

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