Stati Uniti e Corea del Sud: alleanza difficile

Stati Uniti e Corea del Sud: alleanza difficile

Dopo il lancio ieri di un missile intercontinentale da parte della Corea del Nord, inabissatosi nel mare del Giappone, diventano sempre più strategici, ma anche difficili i rapporti fra Stati Uniti e Corea del Sud.

La minaccia nucleare e missilistica posta dalla Corea del Nord fa da sfondo ai colloqui in corso fra Stati Uniti e Corea del Sud. Ma gli equilibri sono sempre più delicati.

È stata un’agenda impegnativa, quella che ha fatto da sfondo agli incontri del 29 e 30 giugno a Washington tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in, cattolico in carica solo dal 10 maggio, e la controparte statunitense. Rapporti commerciali e strategici, sicuramente, ma inevitabilmente anche la pressione che la Corea del Nord pone in modo crescente sull’intera area Asia-Pacifico.

Ancora una volta, pur mediata dall’imprevedibilità di Donald Trump, alla fine se ne sono uscite rinsaldate la tradizionale alleanza militare e la volontà di lasciare spazio al negoziate sebbene con diverse accentuazioni. Si è aperto però un nuovo fronte di discordia sul piano commerciale, con la richiesta americana di rinegoziare il trattato commerciale tra due paesi. Ancora una volta a fare da catalizzatore, più che interessi diplomatici, strategici e globali, la volontà del leader Usa di perseguire la fine del disavanzo commerciale con molti paesi.

Con Seul i rapporti bilaterali sono arrivati a 144 miliardi di dollari con un deficit Usa di 17 miliardi. Una situazione che ha fornito ossigeno all’impegno di Trump a riportare i rapporti nei termini di una maggiore equità di bilancio, pur ignorando opportunisticamente altri aspetti. Inclusi i massicci investimenti sudcoreani da tempo attivi negli States.

In parte come parte di una tendenza in corso, in parte come gesto distensivo, prima dei colloqui, aziende sudcoreane avevano annunciato programmi di investimento negli Stati Uniti collettivamente pari a 12,8 miliardi di dollari in un quinquennio.

Colloqui e manovre di tema diverso che hanno sullo sfondo la concreta minaccia di conflitto che non solo sbaraglierebbe ogni piano bilaterale ma che destabilizzerebbe probabilmente gli attuali assetti Estremo-Orientali. Una situazione ben compresa dal pur moderato Moon, che del tentativo di riconciliazione con Pyongyang ha fatto un tema dominante nella sua campagna elettorale, ma a Washington ha auspicato una “risposta ferma” alle provocazioni. In stretto coordinamento con l’alleato, che a sua volta ha indicato ancora una volta che la sua “pazienza strategica” verso il regime nordcoreano si è esaurita e che le stesse opzioni militari – che, beninteso nessuno sembra auspicare – sono state oggetto di revisione.

Nessuna sottovalutazione riguardo i rischi di un Nord dotato di deterrente atomico e missili balistici che aggiungono alla minaccia convenzionale verso il vicino sudcoreano anche quella, crescente, verso Giappone, interessi Usa nella regione e persino un attacco nucleare contro il territorio statunitense.

«La sfida maggiore che le nostre due nazioni hanno davanti è la minaccia nucleare e missilistica posta dalla Corea del Nord», ha ribadito Moon alla fine dei colloqui. «Il presidente Trump e io abbiamo deciso di dare piena priorità a questo problema e di coordinare strettamente su politiche di tale portata». Per arrivare a questo obiettivo, Moon ha confermato che saranno utilizzate «sanzioni e dialogo in un approccio graduale e complessivo al fine di trovare una soluzione concreta al problema nucleare posto dalla Corea del Nord».

Una convergenza che al momento sembra non sfiorare un nodo che era sembrato emergere ancora un volta nel programma elettorale di Moon, avvocato attivista e pacifista: quello delle basi Usa su territorio coreano. Con quasi 30mila effettivi in un rapporto sicuramente integrato e indispensabile con le forze armate del Sud, sono deterrente primario contro un attacco da oltreconfine, ma anche malviste per la sorta di protettorato americano che evidenziano sul Paese. Una situazione che molti ritengono antistorica e non confacente con l’identità nazionale, oltre che con l’orgoglio della quarta potenze economica dell’Asia e 12ma mondiale.