Inquinamento da polveri sottili: l’India supera la Cina

Inquinamento da polveri sottili: l’India supera la Cina

Una ricerca di Greenpeace ha appena segnalato che l’India dal 2015 è il primo Paese per inquinamento atmosferico al mondo, con tassi di esposizione alle polveri sottili che superano persino Pechino. E che soprattutto – a differenza di quanto sta avvenendo in Cina – in India continuano a crescere

 

L’India supera la Cina, ma si tratta di un triste primato: quello, cioè, dell’inquinamento dell’aria che – secondo la statistica appena stilata da Greenpeace – nel 2015 avrebbe raggiunto le sue massime vette proprio nella penisola indiana. È la prima volta che il livello di esposizione alle polveri sottili è più consistente rispetto all’inquinamento atmosferico di Pechino. Dai dati satellitari Nasa elaborati da Greenpeace, emerge infatti che le misure anti-smog adottate dal 2011 dal governo cinese hanno dato gli effetti sperati, migliorando la qualità dell’aria durante gli ultimi 365 giorni. Dal 2013 quando è stato adottato un piano nazionale anti-smog, la Cina ha invertito la tendenza che la vedeva sempre in cima alle classifiche dell’inquinamento mondiale.

Non così in India, dove da 10 anni il tasso d’inquinamento continua a crescere: ad essere coinvolta è soprattutto la parte nord del Paese e le grandi città tra cui la capitale New Delhi e Varanasi, Lucknow, Patna, Ahemdabad. La colpa è innanzitutto, proprio come in Cina, dell’uso dei combustibili fossili e dello sviluppo industriale conosciuto dai due Paesi che è stato accompagnato da una crescita esponenziale dello smog. Inoltre, gli strumenti per monitorare la qualità dell’aria sono insufficienti: sempre secondo l’associazione ambientalista infatti, sarebbero solo 39 le stazioni adibite a questo scopo in India, a fronte delle 1500 installate sul territorio cinese.

Come se non bastasse, fino ad oggi il governo di New Delhi non sembra aver avuto alcuna intenzione di investire risorse nella riduzione dell’inquinamento. Una recente decisione (dell’aprile scorso) annunciata dal presidente Modi ha infatti allargato le maglie del controllo sull’inquinamento industriale. Secondo questa norma, le rilevazioni delle polveri emesse dalle fabbriche avverrà ogni cinque anni e non più con cadenza annuale come previsto dal precedente esecutivo. Sempre in aprile, il governo ha bloccato i conti bancari di Greenpeace India e ha sospeso la licenza del gruppo per ottenere finanziamenti esteri con un’accusa fittizia che mira a mettere a tacere l’associazione ambientalista.

Le iniziative – siglate con l’intenzione di favorire gli investimenti nel Paese – si rivelano quanto mai miopi: in effetti, già 10 mesi fa l’Organizzazione mondiale della sanità aveva indicato New Delhi come capitale più inquinata del mondo l’aveva definita la città con la più alta concentrazione di particelle inquinanti nel pianeta, che, con un diametro inferiore ai 2,5 micrometri, contribuiscono alla diffusione di bronchiti croniche, tumori ai polmoni e malattie cardiache. Non a caso l’Oms ha rilevato che ogni anno circa 627mila indiani muoiono in seguito a complicanze causate dall’inquinamento. Un recente studio della Fondazione Heal ha scoperto che un terzo dei bambini in età scolare di quattro città dell’India soffre di ridotta capacità polmonare, come è emerso da un apposito test a cui sono stati sottoposti gli studenti.

Oggi i dati divulgati da Greenpeace India non migliorano certo il quadro e l’India si è trovata costretta a mettere in atto piccole soluzioni per ridurre l’impatto ambientale delle sue città. Dal gennaio di quest’anno, infatti, l’India National Green Tribunal ha limitato fino al prossimo marzo il numero di macchine diesel superiori a 2.0 di cilindrata (le più inquinanti ma il cui carburante costa meno) che potranno essere immatricolate nella capitale e ha raddoppiato la “tassa verde” su tutte le vetture commerciali che transitano in città. La decisione non fa piacere alle industrie automobilistiche ma si rende necessaria per una città che conta 8,8 milioni di veicoli (più di quelle di Mumbai, Chennai e Calcutta messi insieme) e che catalizza da sola il 7% delle vendite nazionali di auto. Inoltre, dal 2016 la capitale indiana ha messo a punto un sistema di circolazione a targhe alterne e vuole sostituire tutti i taxi con alimentazione a metano. Il ministero per lo sviluppo rurale sta anche pensando di piantare due miliardi di alberi lungo le strade del Paese per proteggere l’ambiente (pare che gli alberi salvino più di 850 vite umane all’anno) e per creare nuovi posti di lavoro.

Ma l’inquinamento non sta solo rendendo invivibile le città – la corte suprema indiana ha definito New Delhi una “camera a gas” – ma influisce anche sulla produzione agricola. Secondo una ricerca della University of California, la nuvola di gas causata dalle emissioni di veicoli, industrie e combustibili aumenterebbe le precipitazioni monsoniche e avrebbe abbassato del 10% la produzione di riso della regione.

Inoltre, in India mancano controlli sugli standard ambientali delle miniere e sulla gestione delle acque nere. Anche i fiumi – che rivestono un importanza religiosa per gli indù – soffrono per gli scarichi abusivi: basti pensare che lo Yamuna che scorre attraverso New Delhi accoglie suo malgrado 3mila milioni di litri di acque reflue al giorno. Il Gange, dove ogni anno si immergono milioni di persone in una grande cerimonia di purificazione, viene sfruttato per attività agricole e industriali delle popolazioni che vivono nel suo bacino e per questo il livello di tossine e di batteri supera già di circa 3000 volte i limiti indicati dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità; mentre in alcune zone il fiume è stato prosciugato dall’eccessivo dell’industria idroelettrica.

Persino il Taj Mahal, uno dei monumenti simbolo dell’India e dal 1983 patrimonio dell’Unesco, si sta rovinando a causa dell’inquinamento. Uno studio del Georgia Institute of Technology dimostra che proprio le particelle di carbonio provenienti dalla combustione dei rifiuti e dagli scarichi dei veicoli stanno scolorendo il marmo del mausoleo.

Al di là delle soluzioni a breve termine, per il futuro dunque l’India ha bisogno di un progetto globale che coinvolga tutti i settori toccati dall’inquinamento. Si tratta di una vera e propria sfida, visto che gli investimenti nell’attenzione ambientale sottraggono fondi ed energie allo sviluppo sconsiderato del Paese. Non sono in pochi però a credere che l’inversione di tendenza scaturirà proprio quando le persone sentiranno come minacciato il fattore religioso che in India – attraverso pratiche e credenze – mette sempre in relazione l’uomo alla storia e alla natura.