Da laici in missione per il Pime

Da laici in missione per il Pime

IL LIBRO
Dal 1990 attraverso l’Associazione Laici Pime alcuni laici hanno scelto di dedicare qualche anno della loro vita alla missione, ispirandosi al carisma del Pime. Ora hanno raccolto in un libro questi 25 anni di una storia che – come scrive nella prefazione padre Franco Cagnasso – non ha la smania di mettere in piedi grandi opere, ma mira solo a riconoscere un’amicizia.

Pubblichiamo alcuni stralci della prefazione scritta da padre Franco Cagnasso, missionario del Pime in Bangladesh, già superiore generale dell’Istituto, per il libro «AL Posto giusto. In missione dal 1990» pubblicato da PIMEdit che ripercorre attraverso le testimonianze dei protagonisti i primi 25 anni di storia dell’Associazione Laici Pime. Il libro verrà presentato domenica 20 settembre al Pime di Milano durante l’84° Congressimo missionario.

«Sta parlando sul serio o ci prende in giro?». Le facce degli ascoltatori erano decisamente perplesse e incredule, l’attenzione cresceva per cercare di capire dove mai volessi arrivare; si aspettava, curiosi, il colpo di scena finale che capovolgesse il discorso, chiarendo tutto. Invece il colpo di scena non venne: dissi loro che sì, bisognava proprio accettare la realtà come avevo cercato di descriverla.

Ero allora Superiore generale del Pime, il Superiore che aveva dato prova di credere nella missione dei laici, anche con impegni “a tempo”, dando il via alla costituzione dell’Associazione Laici Pime (Alp). E stavo parlando proprio a un gruppo di giovani che seguivano il corso di preparazione Alp. Per questo avevo deciso di parlare chiaro, anzi di provocarli, senza avvolgere la realtà nella retorica o nella carta colorata. «Il missionario che va a lavorare presso altri popoli e in altre culture – dissi – deve accettare il fatto di essere stupido, ingombrante, costoso e inutile». E spiegai. È passato parecchio tempo, l’Alp ha compiuto 25 anni, io rimango della stessa idea. Intendiamoci bene: un’idea che ho anche di me stesso, missionario “a vita” in Bangladesh. Posso sperare che, con il trascorrere del tempo, queste caratteristiche si attenuino un poco, ma ritengo che non scompaiano.

E allora? E allora il missionario – ad vitam o “a tempo”, religioso o laico, donna o uomo che sia – non deve cercare di persuadersi che la realtà in fondo non è così, che «anche io sono importante». Deve piuttosto accettare che le cose stanno in questo modo e prepararsi a una presenza che fa conto su criteri e valori diversi. Quando Gesù dice: «Vi mando come pecore in mezzo a lupi» (Mt 10, 16) non aggiunge, per consolarci: «Però avrete i denti aguzzi anche voi». Dice di andare, accettando queste condizioni e assicura che Lui non ci abbandona. I frutti, poi, li valuta Lui.

Quel giorno volevo togliere ogni appiglio a eventuali tendenze “trionfalistiche” o, meglio ancora, ingenue, spesso involontariamente favorite dal linguaggio del mondo del volontariato e dai missionari stessi. Conclusi la mia lezione ai giovani in formazione Alp dicendo che, nonostante tutto, «se ci si prepara bene, e se con umiltà ci si riconosce stupidi, ingombranti, costosi e inutili, non si faranno danni rilevanti a chi ci ospita e si tornerà arricchiti da un’esperienza bella, utile al missionario e alla sua Chiesa d’origine. Inoltre, se tutto si vive mettendo al primo posto un sincero, semplice desiderio di amicizia, allora si può sperare che resti pure una lieve traccia nei cuori di chi con pazienza ci ha accolto, curato e sopportato. Una traccia dell’amore e della gratuità di Cristo, per la quale vale la pena di sapersi stupidi, ingombranti, costosi e inutili».

Come dicevo, a 25 anni dalla fondazione dell’Alp rimango dello stesso parere; posso aggiungere però una cosa, che non è trascurabile: l’esperienza mi ha convinto che i missionari laici “a tempo” – quale che sia il lavoro che hanno compiuto, il progetto che hanno realizzato più o meno bene – effettivamente ne escono migliorati loro stessi, lasciano tracce buone fra coloro ai quali hanno offerto qualche anno della loro vita e diventano animatori delle comunità a cui ritornano.

L’Alp è nata con l’intenzione di venire incontro a molte richieste e per rispondere a diversi bisogni. Si è cercato, qualche volta a tentoni, di dar vita a un organismo che preparasse e sostenesse i laici a operare con i missionari del Pime, all’interno di progetti e situazioni che il Pime considera sue (o delle diocesi in cui opera), creando per i laici spazi di collaborazione piena e cordiale, e spazi di autonomia per vivere un tipo di vita e una spiritualità che ha le proprie caratteristiche. In altre parole: collaborare cordialmente, come Chiesa, senza “clericalizzare” i laici e magari pure le loro famiglie…

Si cercava anche un equilibrio, che per il Pime è importante, nei rapporti di questa iniziativa e dei suoi laici con le loro chiese locali. Al Pime non piace ritagliarsi spazi propri, isolandosi; preferisce prendere iniziative in collaborazione e in continua interazione con le chiese. Vedevamo anche i laici “a tempo” come un contributo ad animare missionariamente la Chiesa tutta, sia in Italia che altrove, e non soltanto come un sostegno a noi e alle nostre opere. L’Alp ha queste caratteristiche e vuole continuare ad averle, migliorando.

Infine, si può dire che la gente che abbiamo incontrato in missione – o almeno i cristiani – abbiano acquisito un’idea più ampia e completa di che cosa sia la missione? Credo che per ottenere un risultato del genere sarebbero necessarie molte più presenze di missionari laici, inclusa quella di famiglie, e per un tempo più prolungato.

I primi 25 anni ci hanno offerto buoni spunti incoraggianti, ma nei prossimi 25 bisogna che facciamo ancora molto di più!