Ruanda, morto in carcere il cantante della riconciliazione

Ruanda, morto in carcere il cantante della riconciliazione

La morte di Kizito Mihigo – l’ex organista tutsi sopravvissuto al massacro e divenuto un popolarissimo cantante di musica cristiana – mostra quanto restino aperte le ferite del genocidio del 1994. Nel 2014 Mihigo aveva pubblicato una canzone che invitava a ricordare anche i morti degli hutu ed era finito in carcere con l’accusa di incitare all’odio contro il governo di Kagame

 

Un popolare cantante trovato morto in cella – ufficialmente suicida – riporta in primo piano le ferite mai sanate del genocidio del Ruanda. In tanti nel Paese africano e nella diaspora piangono infatti in queste ore la morte di Kizito Mihigo, 39 anni, un personaggio simbolo della storia recente di questo martoriato Paese. Mihigo era stato arrestato nuovamente pochi giorni fa mentre cercava di lasciare clandestinamente il Ruanda, violando un obbligo di dimora nel Paese che gli era stato imposto nel 2018.

Era nato a Kibeho in una famiglia tutsi, Kizito Mihigo. Era un seminarista tredicenne che già dimostrava un grande talento nel suonare l’organo quando nel 1994 sul Ruanda calò la tragedia del genocidio. In quel bagno di sangue perse i suoi genitori e fuggì in Burundi dove avrebbe voluto lui stesso arruolarsi nel Rwandan Patriotic Army. Ma il desiderio di vendetta lasciò presto il posto all’emergere delle sue doti musicali: nel 2001 partecipò alla stesura dell’inno nazionale e fu lo stesso presidente Kagame a impegnarsi per garantire al giovane tutsi una borsa di studio per perfezionare all’estero il suo talento. A Parigi Kizito Mihigo studiò così organo e composizione al Conservatorio per poi cominciare in Belgio a farsi conoscere nel panorama internazionale della christian music. Anche perché in quegli anni in Europa era entrato in contatto con il Mir – il Movimento internazionale per la riconciliazione, un movimento pacifista cattolico impegnato sul tema della non violenza – e ne aveva sposato il messaggio nelle sue canzoni.

Quando nel 2011 tornò a vivere in Ruanda Kizito Mihigo fu accolto dal governo di Kagame come una star: a lui veniva chiesto regolarmente di cantare l’inno nazionale durante le commemorazioni del genocidio e tanti altri appuntamenti ufficiali. Nel 2012 gli fu affidato anche un popolare programma televisivo. Ma tutto questo si interruppe bruscamente quando nel marzo 2014, pochi giorni prima del ventesimo anniversario del genocidio, Mihigo caricò su YouTube una nuova canzone intitolata Igisobanuro Cy’urupfu («Il significato della morte») in cui si alludeva anche alle vittime piante dagli hutu dopo quella tragedia.

 

«Nonostante il genocidio mi abbia reso orfano – cantava – non mi ha fatto perdere l’empatia per gli altri. Pure le loro vite sono state spazzate via brutalmente anche se non lo chiamiamo genocidio. Anche quei fratelli e sorelle sono esseri umani. Prego per loro. Li conforto. Li ricordo… La morte non è mai buona, sia essa portata da un genocidio, da una guerra, o dai massacri di chi si vendica».

Nel giro di qualche giorno Mihigo sparì per ricomparire poi in carcere a inizio aprile con l’accusa di terrorismo e complotto con i ribelli hutu. A fine aprile gli era già stata fatta firmare una confessione contestatissima dalle associazioni per la difesa dei diritti umani in cui ammetteva di aver cospirato contro Kagame. Nel febbraio 2015 fu quindi condannato a dieci anni di reclusione.

Poi – nel settembre 2018, dopo aver rinunciato alla sua istanza di appello – venne rilasciato nell’ambito di un’amnistia, ma con la condizione di non lasciare il Paese. Venerdì scorso l’arresto nei pressi del confine con il Burundi e l’accusa di aver cercato di unirsi ai gruppi ribelli che combattono il governo di Kagame. Lunedì, infine, il ritrovamento del cadavere in cella.

Secondo la polizia ruandese si sarebbe suicidato impiccandosi. Ma sono molte le voci che puntano il dito contro il governo di Kagame per questa nuova morte tragica che reimmerge il Paese nei suoi giorni più bui.