Ucciso l’ambasciatore Attanasio nel Congo senza pace

Ucciso l’ambasciatore Attanasio nel Congo senza pace

L’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo, a pochi chilometri da Goma, capoluogo del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, riaccende drammaticamente i riflettori su una situazione di conflitto incancrenito. Che nasconde anche molti interessi.

«È con profondo dolore che la Farnesina conferma il decesso, oggi a Goma, dell’ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo Luca Attanasio e di un militare dell’Arma dei Carabinieri. L’ambasciatore ed il militare stavano viaggiando a bordo di una autovettura in un convoglio della Monusco, la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo».

È con questo messaggio che questa mattina, 22 febbraio 2021, è stata resa nota l’uccisione dell’ambasciatore italiano a Kinshasa, e del carabiniere che lo accompagnava, Vittorio Iacovacci. L’assalto è avvenuto attorno alle 10 di mattina, nei pressi della città di Kanyamahoro, nelle regioni orientali del Paese. Attanasio viaggiava con un convoglio del Programma alimentare mondiale (Pam), di cui faceva parte anche il capodelegazione dell’Unione Europea a Kinshasa. L’attacco è avvenuto a pochi chilometri da Goma, capoluogo del Nord Kivu, e non distante dal parco di Virunga, dove diversi gruppi ribelli hanno le loro basi.

Le prime a intervenire sono state proprio le guardie del parco che hanno condotto i feriti all’ospedale della Monusco di Goma, dove i due italiani sarebbero morti per ferite di arma da fuoco insieme all’autista del Pam. «Ho accolto la notizia con sgomento. La Repubblica italiana è in lutto», ha detto il presidente Sergio Mattarella. Quanto al ministro degli Esteri congolese, Marie Tumba Nzeza, ha promesso «al governo italiano che il governo del mio Paese farà di tutto per scoprire chi c’è dietro questo vile omicidio».

Una regione “infuocata”

Da circa 25 anni le regioni del Nord e Sud Kivu sono destabilizzate da un conflitto a bassa intensità che avrebbe provocato oltre 6 milioni di morti e circa 4 milioni di profughi e sfollati, oltre a gravissime violazioni dei diritti umani e a centinaia di migliaia di stupri, usati sistematicamente come arma di guerra.

La zona del parco Virunga, in particolare – al confine con Ruanda e Uganda – è diventata negli ultimi anni “rifugio” di gruppi armati, che seminano terrore e morte, taglieggiano le popolazioni e minacciano le stesse guardie forestali: almeno 200 ranger sono stati uccisi al suo interno, gli ultimi sei lo scorso 10 gennaio.

Ma è tutta la vasta regione dell’Est della Repubblica Democratica del Congo a essere infestata da gruppi ribelli di varia matrice e nazionalità (alcuni sono ugandesi e ruandesi), responsabili di attacchi, uccisioni, saccheggi e sequestri. Secondo alcune versioni, non è chiaro se l’agguato al convoglio del Pam avesse lo scopo di sequestrare gli stranieri a scopo di riscatto. È questo, infatti, uno dei modo con cui i ribelli si autofinanziano. Un altro è lo sfruttamento illecito delle ingenti risorse naturali e minerarie della regione: dal legname pregiato all’oro, dalla coltan alla cassiterite e molti altri ancora.

Secondo alcune stime, solo il saccheggio delle foreste del parco in carbone di legna ha un valore annuo di circa 27,5 milioni di euro, mentre il traffico di avorio, attraverso i Paesi confinanti Ruanda e Uganda, continua a provocare stragi di elefanti.

Sia le milizie tradizionali Mayi Mayi (letteralmente “acqua, acqua”, perché si proteggono con riti purificatori che li renderebbero invincibili), sia i gruppi criminali, sia le Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), un gruppo hutu presente sul territorio sin dal genocidio ruandese del 1994, depredano e taglieggiano la popolazione locale, imponendo anche imposte illecite e vessazioni di ogni tipo.

Nella zona del parco Virunga, inoltre, negli ultimi anni, sono aumentati i rapimenti a scopo di riscatto, specialmente di operatori delle ong e delle agenzie internazionali o dei rari turisti che si avventuravano sin qui: due di loro, britannici, sono stati rapiti da uomini armati non identificati l’11 maggio 2018, non molto distante dalla zona in cui è avvenuto l’attacco al convoglio dell’ambasciatore italiano. Ma anche la gente comune e sempre più spesso sacerdoti e religiosi – come già avviene in altre parti dell’Africa e specialmente in Nigeria – sono vittime di sequestri.

Anche per questo, le guardie ambientali sono diventate nel corso degli anni veri e propri militari, incaricati di proteggere anche i civili, ma evidentemente non basta. Oggi 800 agenti sono dispiegati nel parco del Virunga, ben equipaggiati e addestrati dalle forze belghe. Lo scopo è quello di proteggere innanzitutto la flora e la fauna del parco e in particolare i gorilla di montagna che lo hanno reso famoso e che attirano molti turisti soprattutto sui versanti ruandese e ugandese, molto più sicuri. Su lato congolese, invece, il parco è stato chiuso nel 2018 per motivi di sicurezza e ora anche a causa della pandemia di Coronavirus. «I gruppi armati cercano di sabotare le nostre azioni a favore della gente – aveva dichiarato al quotidiano francese Le Monde il vice direttore del Virunga, Innocent Mburanumwe -, ma noi non ci scoraggiamo».

Minaccia jihadista

Come se il quadro non fosse già abbastanza complicato e drammatico, da alcuni anni, tutto il “Grande Kivu”, da Beni sino a Uvira, lungo le rive del lago Tanganica, è minacciato dalla presenza di gruppi terroristici islamisti, che fanno temere che anche la regione dei Grandi Laghi stia diventando un nuovo fronte di penetrazione del jihad in Africa.

Sono ormai centinaia le vittime dei terroristi e migliaia le persone in fuga dai loro villaggi. E sono moltissimi gli adulti e bambini reclutati a forza dai miliziani. Gli islamisti hanno intensificato le azioni di destabilizzazione soprattutto nella regione di Beni, dove si finanziano grazie il trasporto illegale transfrontaliero di legname pregiato e oro, oltre che attraverso finanziamenti che vengono dall’estero (soprattutto Inghilterra, Kenya e Uganda). Ma lo sfruttamento più sistematico e lucrativo di queste e di altre risorse sarebbe un altro degli obiettivi dei miliziani che perseguono con macabra costanza – e quasi senza alcuna resistenza né delle Forze armate congolesi (Farc) né della Monusco – nel processo di epurazione delle popolazioni locali. Lo spopolamento di queste aree sarebbe funzionale anche alla creazione di campi di addestramento e indottrinamento, che potrebbero di intensificare ulteriormente la presenza jihadista nel cuore dell’Africa.

Chi è l’ambasciatore Attanasio

Nato a Limbiate, in provincia di Monza-Brianza, il 23 maggio 1977. Dopo la laurea alla Bocconi di Milano in economia aziendale, nel 2001 aveva vinto il concorso in diplomazia e nel 2003 era stato nominato Segretario di legazione in prova nella carriera diplomatica. Confermato in ruolo dal 29 settembre 2004, era entrato nella segreteria particolare del Sottosegretario di Stato e poi, nel 2006, nominato segretario commerciale a Berna. Nel 2010 il trasferimento a Casablanca con funzioni di console. Dopo il rientro alla Farnesina come capo Segreteria della Direzione Generale Mondializzazione e Questioni globali nel 2013, nel 2014 di nuovo in Africa come Primo segretario ad Abuja, in Nigeria, per un’assegnazione breve, dove però era tornato come consigliere nel 2015. A Kinshasa era stato nominato Incaricato d’Affari il 5 settembre 2017, e poi confermato quale incaricato d’Affari con Lettere, nel gennaio 2019. Per il suo impegno umanitario, nell’ottobre 2020, aveva ricevuto Premio Nassiria per la pace.