In carcere dopo i morti: la tappa nel Messico più duro

In carcere dopo i morti: la tappa nel Messico più duro

I 52 detenuti morti oggi nella rivolta nel carcere di Topo Chico a Monterrey irrompono drammaticamente nella vigilia dell’arrivo del Papa in Messico. Dove proprio un carcere – quello di Ciudad Juarez, teatro cinque anni fa di un alltro eccidio – mercoledì sarà uno dei luoghi che il Papa visiterà. Volto duro di un Paese segnato da violenza e corruzione

 

Una rivolta in carcere proprio alla vigilia della visita di Papa Francesco in Messico. Uno scontro nel penitenziario del Topo Chico a Monterrey, nella parte nord-est del Paese. Non è ancora chiaro del tutto che cosa sia successo: c’è chi parla di un tentativo di fuga e chi di uno scontro tra detenuti. Ciò che è certo è che la rivolta è durata alcune ore e il bilancio è pesantissimo: le fonti ufficiali parlano già di 52 morti, a cui si aggiungono alcune decine di feriti.

Non è la prima volta che una ribellione in un carcere messicano finisce con una carneficina. Dal 1988 ad oggi ben 15 volte ribellioni dei detenuti si sono concluse nel sangue. Nell’ottobre 2011, in particolare, la prigione di stato Ce.Re.So a Ciudad Juarez nella città di Chihuahua, 27 persone rimasero uccise in uno scontro a fuoco tra due gang rivali di detenuti che erano riusciti a far entrare le armi nel penitenziario in circostanze poco chiare e probabilmente con la collaborazione del personale della struttura. Anche due anni prima – in quella stessa prigione – un regolamento di conti tra bande aveva portato all’uccisione di ben 20 persone.

E proprio il Ce.Re.So. di Ciudad Juarez sarà una delle tappe del viaggio di papa Francesco, che come già nei viaggi in Bolivia e negli Stati Uniti ha voluto che nel programma fosse inserito un incontro con i detenuti. Su 3600 detenuti saranno 700 quelli che incontreranno il Papa in un momento che alla luce di quanto accaduto oggi assumerà un significato particolare.

Del resto Ciudad Juarez è considerata come una delle più violente al mondo, soprattutto perché qui – come in tante altre zone del Paese – si concentra la lotta dei cartelli messicani per il controllo del narcotraffico. Negli ultimi due anni più di 6000 persone sono state uccise in violenze legate allo spaccio di droga, mentre nel 2010 Juarez ha ottenuto  il triste titolo di capitale dell’omicidio con un tasso di assassini di circa 230 per 100mila abitanti. Inoltre, in Messico la corruzione dilaga tra le guardie e presso l’amministrazione locale, permettendo di fatto ai narcotrafficanti incarcerati di gestire i propri affari dalla cella comodamente, come ha dimostrato la recente vicenda del signore della droga El Chapo Guzman, evaso dal carcere di massima sicurezza di Altipiano, a circa 90 chilometri dalla capitale.

Il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin – già prima dei fatti di oggi al carcere del Topo Chico – aveva ricordato in un’intervista al Centro televisivo vaticano che «la Chiesa è chiamata a denunciare il male che è presente, alzare la voce contro tutti quei fenomeni negativi, a partire dalla corruzione, dal narcotraffico, alla violenza, alla criminalità, che impediscono al Paese di procedere speditamente sulla via del progresso materiale e spirituale». Parole che – al di là dei prevedibili rinforzi dei sistemi di sicurezza – rendono l’incontro di mercoledì ancora più urgente ed attuale.