Messico e pandemia: vecchie e nuove fragilità

Messico e pandemia: vecchie e nuove fragilità

È il secondo Paese per morti da Coronavirus in America Latina, subito dopo il Brasile. Il governo messicano ostenta sicurezza ma il sistema sanitario stenta e l’economia che aveva scommesso sul petrolio arranca. La povertà aumenta anche a Cartolandia, la grande baraccopoli di Ecatepec dove sono presenti i missionari del Pime

 

La narrazione a cui siamo stati abituati in questi mesi di epidemia globale, per comprendere l’andamento della situazione in un determinato Paese, ha degli elementi ricorrenti. Il Messico potrebbe essere dipinto in questo modo: ad oggi il numero dei contagiati ha raggiunto la cifra di 49219 casi e 5177 morti, di cui la metà sono circoscrivibili nell’area di Città del Messico e nello stato di Edomex, costituito dalla cintura di comuni attorno alla capitale. Nell’ultima settimana il numero dei contagi ha avuto un incremento del 35%, cosa che ci fa pensare di essere ancora nella fase ascendente dell’ormai arcinota curva gaussiana, usata per descrivere l’andamento dell’epidemia. Allargando il campo all’America latina, il Messico ricopre il terzo posto per numero di infettati dietro a Brasile e Perù e secondo solo al Brasile per numero di morti.

Il governo ha scelto una posizione di progressivo inasprimento delle misure di restrizione. Due mesi fa ha proposto un modello a fasi: le misure restrittive venivano messe in atto solo dopo che il numero dei contagi avesse raggiunto la soglia stabilita dai creatori del modello. Dallo scorso 21 aprile siamo approdati nella fase 3, che qui è quella di maggior contagio e maggior circolazione del virus. Oggi, in alcuni Stati meno colpiti e per alcuni comparti economici, è iniziata una fase di apertura e di allentamento delle misure restrittive.

La narrazione ufficiale ha fatto perno sulla presentazione di un piano come se tutto fosse ben quantificabile e sotto controllo. Più di una volta il presidente e le autorità competenti hanno profetizzato date, precise alla giornata, su quando si sarebbe raggiunto il picco (il 6 maggio scorso) o quando avremmo superato completamente la pandemia (24 giugno). Dopo due mesi la sensazione è che, come in gran parte del mondo, più che aver sotto controllo la situazione, si facciano i passi giorno per giorno, con gli strumenti che si hanno e con una grande difficoltà nel prevedere quanto il domani realmente ci presenterà.

Come piccole crepe nei discorsi alla nazione, sempre ottimistici e rassicuranti, profusi nelle oceaniche conferenze stampe giornaliere, sono emerse antiche e nuove fragilità:

Sistema sanitario
All’inizio di marzo il ministero della Salute ha richiesto agli ospedali di fare un censimento per avere idea di quanti respiratori fossero disponibili. Il personale sanitario in molti ospedali ha subito manifestato contro la mancanza di dispositivi di protezione di base come guanti e mascherine ma anche per le aggressioni a vari lavoratori del settore, tacciati come untori. Negli ultimi giorni a città del Messico si è scoperta una rete di “coyotes”, intermediari delle pompe funebri, che emettono a pagamento certificati di morte per “polmonite atipica”, per permettere alle famiglie di poter seppellire o cremare il proprio parente defunto più celermente, là dove ci sia il sospetto che la persona abbia contratto il Covid19 e dunque i congiunti sarebbero tenuti a passare per gli accertamenti e le precauzioni del caso.

Situazione economica
Il presidente a fine marzo diceva candidamente che il Messico non avrebbe patito la crisi, a differenza di altri Paesi, e che in ogni caso poteva contare su tutta una serie di amuleti che le persone gli avevano regalato, a protezione sua e di tutto il popolo. Nel frattempo, la guerra dei prezzi del petrolio, che ha portato la quotazione del greggio in negativo per un paio di giorni, ha fatto capire che uno dei settori su cui ha investito maggiormente il governo probabilmente avrebbe risentito più di quanto ci si aspettasse. Tre giorni fa, per cercare di invertire la crisi del settore energetico messicano, è stato emesso un decreto che limita la partecipazione del settore privato nella produzione di energia pulita, così da favorire l’azienda statale di produzione di energia e stimolare il consumo di risorse fossili.

Criminalità e violenza
La violenza non è diminuita. Ogni giorno la media degli assassinati si aggira intorno al centinaio di persone e come se non bastasse, vari gruppi narcos si sono organizzati per rafforzare la propria immagine nei confronti della gente distribuendo generi di prima necessità, con tanto di volantino promozionale.

A questa situazione e alle misure imposte dal governo le persone hanno reagito in modo diversificato.
In generale aleggia un grande sentimento di incertezza e di timore. A Città del Messico è evidente una grande differenza tra chi abita nelle zone più ricche della città – che in questi mesi appaiono svuotate e con la gran parte delle attività commerciali chiuse – e le zone più popolari, dove il via vai di persone non si è fermato. Un’ampia fetta di popolazione vive di lavori che appartengono alla sfera dell’economia informale. Sono consapevoli che se non escono a lavorare, difficilmente potranno arrivare a fine mese e questo fa sì che la maggior parte si stia rimboccando le maniche per tenersi il lavoro o inventarsi qualche piccola forma di entrata. Ad esempio c’è chi prepara grandi pentole di “mole” e le va a vendere casa per casa tra i vicini del proprio barrio.

Gli aiuti statali sono pochi e in generale non si nutrono grandi aspettative verso questi strumenti, forse è anche per questo che non si sono levate molte voci a richiedere un piano di aiuti economici statali come è avvenuto in altri Paesi.
Soprattutto nelle zone più popolari l’incredulità rispetto alla situazione pandemica e la propensione a pensare al complotto hanno presa tra le persone. Al tempo stesso la maggioranza è cosciente della situazione e accoglie le misure con gli strumenti e le conoscenze di cui dispone. Un piccolo esempio è l’utilizzo della mascherina: se due mesi fa era visto con grande sospetto, ora è di comune utilizzo tra i più.

Un esempio a noi particolarmente vicino è quello di Ecatepec.
Con i suoi i suoi due milioni di abitanti Ecatepec è il secondo comune più colpito dello stato di Edomex. I contagi accertati hanno superato il migliaio. Nella comunità dove è situata la cappella di San José, che dal 2016 vede la presenza di padre Damiano Tina e di padre Deodato Mammana, sacerdote della diocesi di Catania associato al Pime, al momento vi è un solo caso accertato. Una “fortuna”, perché se si diffondesse in modo più esteso, in particolare nella zona di Cartolandia, sarebbe un disastro. Cartolandia è un lungo insediamento di abitazioni di fortuna erette ai lati della ferrovia. Sono abitate per lo più da famiglie indigene che hanno lasciato i villaggi di provenienza per cercare lavoro in città. La maggior parte di loro vive di lavori informali e molti vendono le loro merci nei mercati rionali, i tianguis. Non hanno cambiato la loro vita di molto, ogni giorno escono di casa per cercare di sbarcare il lunario. In questo momento la pandemia li sta colpendo soprattutto dal punto di vista economico, a causa della diminuzione delle vendite e del fatto che da un paio di settimane sono stati chiusi anche i mercati. Escono ugualmente e si posizionano nelle piazze o agli incroci delle strade di maggior flusso.

Come varie parrocchie, anche la nostra cappella – oltre alla vicinanza e all’accompagnamento spirituale delle persone che non è venuto meno e che ha saputo reinventarsi, grazie ai telefoni e a vari strumenti online – ha organizzato alcune distribuzioni di generi di prima necessità. Questa contingenza ha tuttavia portato alla luce la fragilità e la mancanza di una vera e propria rete caritativa di aiuti. Ciò che funziona è la rete solidale nelle famiglie e tra gruppi di famiglie che era già presente e che non ha smesso in questi mesi. Una solidarietà fatta di relazioni e di amicizie che da queste parti è qualcosa di forte e tangibile.

Come detto in precedenza, le persone in queste zone di periferia sono abituate a non aspettarsi molto dalle autorità. Sono abituate a rimboccarsi le maniche e a cercare di andare avanti giorno per giorno. Le posizioni di incredulità rispetto all’epidemia o le teorie complottiste non sono altro che i segni di una lacerata fiducia verso le autorità o i mezzi di comunicazione ufficiali. È difficile sentirli protestare o far alzare la propria voce. La maggior parte di loro vive da ben prima della pandemia con la cinghia tirata, sempre in equilibrio tra l’arrivare a fine del mese e l’indigenza.

La previsione più realistica che si può fare è che la povertà generale aumenterà sensibilmente. L’aumento del numero di persone che bussano alla porta delle chiese o dei monasteri in cerca di aiuto, è un indicatore tangibile.

Si respira una grande incertezza. Molti ritengono che sia bene aspettare la fine della tempesta per fare il conto dei danni. Altri però, guardando alle nuvole che proprio in questi giorni preannunciano l’arrivo della stagione delle piogge, intuiscono che questo tempo non sarà breve e che è più saggio, oltre ad affrontare il presente giorno per giorno, fare della situazione occasione, perché molto di ciò che ci sta colpendo non è colpa del virus, ma di scelte e sistemi che erano “contagiati” già da molto tempo.