India: perché la protesta degli agricoltori

India: perché la protesta degli agricoltori

È battaglia sulla liberalizzazione dei mercati con la fine dei prezzi minimi garantiti contenuta in tre leggi promosse dal governo Modi. Il timore dei piccoli agricoltori è che – pur ottenendo la libertà di scegliere dove collocare i propri prodotti – non abbiano la possibilità reale di contrattare i termini migliori della vendita con i privati

 

Una nuova crisi attraversa l’India e mette in contrasto il governo centrale con l’influente e numerosa popolazione agricola. Oggetto del contendere, questa volta, sono tre leggi, non ancora promulgate ma approvate dal parlamento federale nella sessione da poco conclusa, volute ufficialmente per adeguare produzione e commercializzazione di prodotti agricoli con le infrastrutture e le necessità di un Paese che si vorrebbe sulla strada della modernizzazione ma che vede ancora tante necessità e interessi spesso contrapposti.

Il governo nazionalista guidato da Narendra Modi, sostenuto da una lunga serie di vittorie del suo partito, il Bharatiya Janata Party, a livello nazionale e locale, cerca ancora una volta di forzare la mano a un settore produttivo per allinearlo ai propri piani di sviluppo. In questo caso, però, si trova davanti la parte più benestante e battagliera dei 140 milioni di addetti al settore agricolo. Quella che a prima vista è una vertenza alimentata dalla volontà ufficiale di perseguire un necessario ammodernamento nel contesto delle politiche di sviluppo evidenzia ancora una volta come molte strutture siano ancora inadeguate. A questo si aggiunge che sia le parti politiche – governo e opposizione – sia quelle più direttamente in gioco: agricoltori, mediatori, grossisti, autorità locali, aziende alimentari e di trasformazione, giocano anzitutto secondo i propri interessi, in molti casi fondati su consuetudini e rapporti assai radicati.

Ben 31 organizzazioni del settore hanno messo da parte orientamenti ideologici e rivalità per pianificare iniziative di dissenso verso le nuove leggi (la prima è stata la serrata del 25 settembre che ha parzialmente paralizzato lo stato del Punjab, il “cuore” della produzione cerealicola indiana). Uno schieramento che – pur non parlando con una sola voce – è concorde in particolare nel contrastare quanto la legge prevede per quanto riguarda la commercializzazione, le responsabilità nella vendita e distribuzione, la risoluzione delle dispute e le tariffe imposte su produttori, mediatori e venditori nei mercati. Significativo che il ministro dell’Interno del governo Modi, Harsimrat Kaur Badal, esponente del partito Shiromani Akali Dal – parte della coalizione di governo e con base elettorale nel Punjab – si sia dimesso perché in disaccordo sulle nuove leggi.

Che cosa propongono in sostanza i tre provvedimenti? Altrettanti obiettivi: rompere il monopolio dei centri di ammasso gestiti dal governo, consentendo ai coltivatori di vendere direttamente a privati; fornire una struttura legale agli agricoltori per stipulare contratti scritti con imprese e produrre per loro; consentire alle imprese dell’agro-alimentare di accumulare prodotti e rimuovere la possibilità per il governo di imporre arbitrariamente restrizioni alle contrattazioni.

Perché tanta preoccupazione? I mercati (il termine mandi a cui si fa riferimento nelle leggi indica sia i mercati agricoli, sia i centri di raccolta da lungo tempo centrali nel sistema agro-alimentare del Paese) raccolgono al momento imposte per i governi dei vari Stati e territori dell’India e una liberalizzazione anche parziale diminuirebbe la loro importanza.

Ne sarebbero colpiti anche i mediatori, mentre gli agricoltori temono che questo metterebbe fine al regime di prezzi minimi garantiti. Un problema rilevante, inoltre, è che una frammentazione del mercato farebbe venire meno per i produttori il potere di contrattazione con le grandi aziende del settore. L’85 per cento dei contadini dell’India, sono di fatto poveri e hanno a loro disposizione meno di due ettari ciascuno. Vi sono quindi timori che un agricoltore, pur avendo la libertà di scegliere dove collocare i propri prodotti, potrebbe non avere la capacità di contrattare i termini migliori della vendita con i privati. Al momento non ci sono infatti possibilità di contrattazione al di fuori dei mandi e non sono ancora stati individuati meccanismi per risolvere eventuali contese che dovessero emergere dall’applicazione del nuovo sistema.

 

Foto: Flickr / Lam Thuy Vo