Pelosi a Taiwan: visita ad alta tensione

Pelosi a Taiwan: visita ad alta tensione

La visita della speaker della Camera Usa potrebbe diventare il pretesto per un’escalation militare da parte della Cina. Che oggi appare più minacciosa che mai

La visita di Nancy Pelosi, la speaker della Camera statunitense, a Taipei ha rimesso Taiwan al centro della tensione internazionale. Le reazioni della Cina, sia verbali che di movimenti militari, sono molto forti, e non possiamo escludere possano preludere a una pericolosissima escalation. Come abbiamo visto nei mesi scorsi, alle parole minacciose possono seguire i fatti.

Del resto, le tensioni tra Cina e Taiwan non sono qualcosa di nuovo. Esercitazioni militari di carattere intimidatorio a ridosso dei confini fra i due territori si sono verificate varie volte negli ultimi trent’anni. Tuttavia la visita di Nancy Pelosi è un evento senza precedenti recenti. Difficile dire se si tratta di una iniziativa davvero autonoma rispetto all’amministrazione americana o se sia una mossa concordata con qualche obiettivo politico e strategico. “L’ambiguità strategica” della politica statunitense verso Taiwan è, in questa vicenda, davvero evidente.

Così come è evidente che Taipei cerca, quasi disperatamente, forme di riconoscimento che diano dignità alla vita politica dell’isola, la prima e unica democrazia cinese. Taiwan si sente infatti schiacciata dalla questione diplomatica e strategica dello scontro tra superpotenze per il controllo e dominio del Pacifico, ma non vede alcuna vera attenzione alle proprie aspirazioni e realizzazioni: un’economia forte, una democrazia parlamentare stabile, un territorio davvero libero.

Nancy Pelosi ha dichiarato di essere andata a Taipei per difenderne la democrazia. E dopo la soppressione della democrazia e della libertà a Hong Kong e in Myanmar si tratta di un tema davvero “caldo” in Asia Orientale.

La Cina ritiene che Taiwan sia parte integrante della nazione e non smette di dichiarare l’intenzione di procedere all’unificazione. La gran parte della comunità internazionale accetta il principio dell’unica Cina, anche se la storia di Taiwan, assai poco conosciuta, testimonia che la sovranità di Pechino su Taipei è stata esercitata per un periodo piuttosto breve.

Si comprende dunque l’ansia della gente di Taiwan: l’unificazione prima o dopo ci sarà e non potrà essere pacifica. Fino a qualche anno fa, la prospettiva era ancora credibile: la formula “un paese – due sistemi” applicata a Hong Kong doveva servire a rassicurare Taiwan. La Cina sembrava disponibile a salvaguardare l’autonomia e lo stile di vita della gente di Taiwan. Questa era l’intenzione di Deng Xiaoping, l’inventore di questa formula. Ma da quando, due anni fa, è stata imposta la legge sulla sicurezza nazionale e libertà e democrazia sono state cancellate, Hong Kong vive in un regime poliziesco e Taiwan non può più contare su questo modello.

Nel 2049, la Cina celebrerà i 100 anni della rivoluzione comunista: sembra un traguardo lontano ma, come si sa, il Paese fa progetti a lungo termine e li persegue con tenacia. Per quella data, la società socialista sarà pienamente implementata in Cina, la nazione presumibilmente riunificata (inclusa Taiwan) e la Cina avrà acquisto un ruolo guida, economico e politico, nel mondo (i progetti delle nuove “vie della seta” terrestri e marittime sono parte di questo obiettivo). Ma la scadenza del 2049 non sembra bastare a Xi Jinping. L’attuale leader cinese vuole passare alla storia con meriti nazionali che lo elevino al livello di Mao Zedong e Deng Xiaoping. Il primo ha fondato la Cina comunista; il secondo l’ha riformata e ripreso Hong Kong; il terzo, Xi, vuole completare la riunificazione della Grande Cina.

Secondo attenti osservatori, gli incontri tra Putin e Xi prima dell’invasione dell’Ucraina potevano lasciar presagire un accordo di reciproca assistenza diplomatica: la Russia per l’aggressione in Ucraina e la Cina per Taiwan. Ma l’andamento della guerra russa ha evitato che la situazione precipitasse. Ora, però, la visita di Nancy Pelosi a Taipei potrebbe dare alla Cina il pretesto per una escalation militare e la minaccia di invasione.

Per questo, oggi più che mai, bisogna rimettere al centro di questa vicenda la volontà della gente di Taiwan. Che non è irragionevole: desidera mantenere lo status quo. Non ha mai proclamato l’indipendenza, ma ha realizzato una società benestante e moderna, e soprattutto libera e democratica. Una cosa che il regime cinese fatica sempre più a tollerare.