Sri Lanka: pena di morte per i trafficanti di droga

Sri Lanka: pena di morte per i trafficanti di droga

Nonostante sia stato dimostrato che la pena di morte non abbia funzione di deterrente, lo Sri Lanka, prendendo ispirazione dalle Filippine, ha annunciato l’intenzione di reintrodurre la pena di morte per contrastare il traffico illegale di stupefacenti

 

Il Presidente dello Sri Lanka Maithripala Sirisena ha ordinato la pena di morte per quattro trafficanti di droga. Non è ancora stata annunciata una data precisa su quando avrà luogo l’esecuzione capitale, ma ieri Sirsena ha dichiarato di aver già firmato i documenti per la reintroduzione della pena di morte nel Paese. Lo Sri Lanka non ha più effettuato una pena di morte dal 1976, anche se da febbraio 48 prigionieri si trovano nel braccio della morte.

Il Presidente ha poi aggiunto che nessuno dei quattro condannati è ancora stato informato riguardo alla decisione, tanto meno lo loro famiglie, perché non i vuole generare il caos nelle prigioni. I condannati a morte riceveranno la comunicazione dell’impiccagione due settimane prima dell’esecuzione e avranno una possibilità di appello di fronte al Presidente.

Sirsena ha giustificato la misura per cercare di sconfiggere il problema dilagante del traffico di droga, che affligge più di 300.000 persone. Sirsena ha inoltre affermato di aver preso ispirazione dal Presidente delle Filippine Duterte, che aveva allo stesso modo sostenuto le uccisioni extragiudiziali come strumento di repressione al traffico illecito di stupefacenti.

Da sempre un punto strategico per i traffici internazionali, ora lo Sri Lanka sta diventando esso stesso un Paese consumatore e le autorità negli ultimi mesi hanno intercettato diversi carichi di droghe. Ad aprile per esempio sono stati confiscati in una sola mano 720 kg di cocaina.

I gruppi di attivisti per i diritti umani, tra cui Amnesty International si sono opposti alla misura, richiamando i passi avanti intrapresi da altri Paesi e spiegando che la pena di morte non ha mai funzionato come deterrente.

Il direttore di Amnesty International per l’Asia del Sud ha infatti affermato che mentre molti Stati hanno riconosciuto la necessità di riformare le politiche di contrasto al traffico di stupefacenti, lo Sri Lanka sta andando contro tendenza introducendo inutili forme repressive.

La pena di morte infatti non libererà lo Sri Lanka dai problemi connessi alle droghe. Le esecuzioni “rappresentano il fallimento di costruire una società umana che valuti positivamente la protezione della vita. L’ultima cosa di cui ha bisogno lo Sri Lanka ora è più morte in nome della vendetta. Che lo Stato prenda la vita umana è l’atto più grave che un governo possa commettere”.

In questo contesto la Chiesa è da tempo schierata contro l’abuso di droghe e l’utilizzo di stupefacenti, soprattutto tra i giovanissimi. Il cardinale Malcolm Ranjith insieme ai preti e altri leader di altre confessioni religiose hanno organizzato diverse marce di protesta contro l’abuso di droghe illegali. Dopo le dimostrazioni di fine marzo, ad aprile il cardinale ha inviato una lettera a tutte le parrocchie in cui chiedeva di denunciare chi vendesse stupefacenti.