AL DI LA’ DEL MEKONG
Faccia a faccia in tutto ciò che ci sta a cuore

Faccia a faccia in tutto ciò che ci sta a cuore

Seguo da lontano il dibattito in corso tra il governo italiano e la Conferenza Episcopale italiana. E avverto l’urgenza di un convergere attorno all’umano-che-è-comune, vero obiettivo e fine di ogni legge e di ogni mezzo

 

Seguo da lontano il dibattito in corso tra il governo italiano e la Conferenza Episcopale italiana in riferimento alla possibilità o meno di celebrare le sante messe che, con il popolo, sono ancora interdette mentre nel caso di funerali è possibile, ma con un numero di partecipanti limitato a 15 persone.

Ora, come al solito le norme non sono mai sufficienti ad arginare la complessità del reale e per questo devono essere interpretate con la giusta flessibilità. Nel caso di famiglie molto numerose, per esempio, se muore un congiunto sarà più difficile limitare il numero dei partecipanti alle esequie. Se fossero 16, scatterebbe la sanzione per un figlio o un nipote in più che, magari piangendo, vi ha preso parte? Allo stesso tempo, non nascondiamo il fatto che spesso, nel caso di persone sole, dimenticate da tutti, nell’ora della morte il problema non sarà superare le 15 persone ma arrivare almeno a 5!

Quanto alle Messe, da tempo in molte parti d’Italia sono state ridotte o soppresse non per il virus ma per mancanza di fedeli, e allora dove sono tutti quei credenti che reclamano la messa domenicale? Ma è pur vero che se si può entrare in un vagone della metropolitana, così con le stesse precauzioni si potrebbe entrare in una chiesa a pregare. Scusate la banalità del ragionamento, dettato più dal buon senso che da competenze mediche o legali. Sono anch’io convinto, come ha scritto Mons. Beniamino De Palma che, nel caso particolare del contenzioso tra il Governo e la Conferenza Episcopale, non dobbiamo «trasformare l’Eucarestia in una bandiera (messa sì, o messa no)», ma «liberare il culto in direzione della vita» e fare fuori quel sacrificio a Dio che avremmo celebrato dentro. Sono comunque certo che questo periodo di astinenza servirà a propiziare un cammino dal comandamento al desiderio, affinchè quello che prima era un precetto diventi un autentico desiderio nel cuore dei credenti (1). Tutti noi sacerdoti e credenti, abbiamo ben chiaro il valore del sacramento e l’importanza della libertà di culto, così come siamo sensibili all’eventuale ingerenza di un potere che potrebbe trasformarsi in dittatura per le coscienze e nondimeno, salvaguardiamo gli spazi del confronto.

Anche la disposizione che consente le visite ai parenti non è chiara, non per colpa degli estensori ma per la complessità del reale. Infatti, parlando di parenti, fino a che grado sono da considerarsi tali per non incappare nelle sanzioni? Per esempio, per chi è cresciuto con altre figure di riferimento, come fa a dimostrare che pur essendo anagraficamente figlio di, la sua “vera mamma” è stata un’altra mai iscritta nello stato di famiglia, e che ora ha bisogno di aiuto perché sola? Potremmo continuare all’infinito.

In casi come questi ci può soccorrere il buon senso che accanto al comitato scientifico, alle disposizioni di legge e alla buona fede di tutti, possa aiutarci a convergere attorno all’umano-che-è-comune, vero obiettivo e fine di ogni legge e di ogni mezzo.

Vorrei scongiurare una diatriba in seno alla società civile fra Stato e Chiesa o credenti e non credenti, oppure dentro la Chiesa, fra integralisti e progressisti. Perché se l’ideologia e la pura logica della contrapposizione avessero il sopravvento, sarebbe l’inizio della fine. Così come non è bene scadere nelle interpretazioni e parlare di gestione del potere: lo Stato con la legge, la Chiesa con i Sacramenti (2).

Sono sacerdote e missionario in Cambogia. La storia della Chiesa in questo Paese sarebbe fonte di massima ispirazione, ma vorrei mantenere un profilo, per così dire, laico! E dunque, come nel caso di crisi istituzionali si ricorre al Presidente della Repubblica perché dia indicazioni sul da farsi, allo stesso modo riprendo alcune considerazioni del nostro Signor Presidente. In un messaggio rivolto a tutti gli studenti, nel protrarsi della chiusura delle scuole, ha affermato che «le scuole chiuse sono una ferita per tutti» perché «la scuola non è soltanto il luogo dell’apprendimento, è la vostra dimensione sociale fondamentale». Parole tanto semplici quanto utili al discernimento e alla ricerca di soluzioni possibili.

Perché se le scuole chiuse sono una ferita per tutti, anche le imprese chiuse sono una ferita per tutti. Lo stesso vale per le nostre case, i cinema, i bar, i parrucchieri, le pizzerie, le periferie, se chiusi, sono una ferita per tutti. Senza relazioni, lavoro, creatitività, comunicazione vis-à-vis, l’umano-che-è-comune, cioè tutto ciò che ci sta a cuore, è destinato a morire. E se questo vale per ogni esperienza umana, viva e vera, vale anche e soprattutto per il nostro rapporto con Dio, vivo e vero. Pur sapendo che l’attesa di ciò che è vivo e vero, se ritenuto tale, purifica ed accresce il desiderio.

Nondimeno, una politica condivisa che sostiene l’umano-che-è-comune, non il tatticismo lascivo e compiacente dei cinici e dei miopi, è la via d’uscita. Perché torni presto il vis-à-vis in tutto ciò che ci sta a cuore. Tra di noi. Con Dio. In volto e non in video.

 

  1. Rimando a questo blog per l’approfondimento.
  2. Si leggano due interessanti riflessioni: la prima e la seconda

 

Foto: Flick / Kamoteus