Iraq: università bloccate tra crisi e pandemia

Iraq: università bloccate tra crisi e pandemia

Crescono i contagi in Iraq e il Paese – già compromesso da una crisi politica ed economica legata al crollo del prezzo del petrolio – teme la seconda ondata di Covid-19. Tra le categorie che pagano il prezzo più alto di questa situazione ci sono gli universitari costretti a fermare gli studi e a ritardare la ricerca di un lavoro in un Paese dove la disoccupazione giovanile è al 36 per cento

Continuano a crescere i numeri dei contagiati in Iraq. Ieri sono stati registrati oltre 1200 nuovi positivi al Covid-19, molti dei quali nella sola capitale Baghdad che è stata sottoposta a coprifuoco insieme ad altre città proprio per l’arrivo di quella che sembra una seconda ondata della pandemia

Dall’inizio dell’emergenza sanitaria i positivi al Coronavirus in Iraq sono circa 12.300 e le vittime oltre 300. A scatenare questa nuova fase della pandemia, dicono gli osservatori, sarebbero stati l’allentamento delle misure di contenimento sociale e i festeggiamenti per la fine del mese del Ramadan.

Indipendentemente dalle ragioni, i numeri preoccupano anche perché il Coronavirus arriva in un contesto economico e sociale molto compromesso a causa di una crisi politica che va avanti da mesi e del crollo del prezzo del petrolio la cui produzione copre il 90 per cento delle risorse finanziarie statali.

Questa situazione è talmente precaria che l’Economist ha scritto che il Paese potrebbe collassare da un momento all’altro.

Tra le categorie che più stanno facendo le spese di questa situazione ci sono i giovani universitari. Quest’anno l’anno accademico è stato praticamente annullato. Ad ottobre, infatti, le proteste contro la corruzione della classe politica e l’alto tasso di disoccupazione hanno portato alle dimissioni del primo ministro Adel Abdul Mahdi ma hanno costretto gli atenei a restare chiusi per un lungo periodo. Poi, dall’inizio dell’anno solare, il Coronavirus ha fatto il resto imponendo all’intero Paese la sospensione di ogni attività pubblica. Anche la didattica a distanza, che pure da noi per questa fascia d’età sembra funzionare, è stata applicata tardi in Iraq e così migliaia di giovani sono stati costretti a congelare i propri studi.

Un rapporto pubblicato dall’Agenzia France Press (e ripreso dal quotidiano indipendente Al Mada Paper) sulla base dei dati resi noti dal Ministero dell’Istruzione ha calcolato che sono almeno 150mila i ragazzi iracheni che sono costretti a rimandare la laurea al prossimo anno; mentre secondo l’ambasciata americana a Baghdad 250 studenti iracheni non partiranno per un’esperienza formativa negli Stati Uniti. Non si tratta di una mera questione di tempistica bensì di opportunità perse che per forza di cosa incideranno negativamente nella ricerca di un lavoro, operazione che si rivela difficile già in condizioni normali visto che la disoccupazione giovanile in Iraq si attesta intorno al 36 per cento.

Molti hanno bisogno di lavorare per sostenere le famiglie e invece si trovano in un limbo, impossibilitati a cercare un impiego e stretti dalle università che continuano a riscuotere le tasse anche per i semestri in cui non hanno offerto alcuna attività. Quello degli universitari non è un problema minoritario visto che oltre il 60 per cento dei 40 milioni di abitanti dell’Iraq ha meno di 25 anni.

Foto di Moaid Mefleh da Pexels