In mostra la Bibbia degli schiavi

In mostra la Bibbia degli schiavi

Ci sono parti della Bibbia e dei Vangeli che è impensabile possano venire omesse. Eppure in passato è stato fatto e con lo scopo ben preciso di attenuare il desiderio di liberazione degli schiavi africani. Come illustra una mostra in corso negli Stati Uniti

 

Nel XIX secolo, ai tempi dell’impero britannico, le Bibbie che venivano utilizzate per predicare agli schiavi nelle colonie delle Indie Occidentali (le attuali Giamaica, Barbados e Antigua) avevano dei capitoli mancanti rispetto a quelle utilizzate dai bianchi.

Com’è tristemente noto, gli schiavi venivano prelevati dall’Africa per essere trasportati nei possedimenti inglesi nei Caraibi. Al fine di evitare rivolte e ritorsioni, ai missionari venivano consegnate delle Bibbie senza i capitoli che più di tutti trasmettevano un messaggio di speranza di liberazione. Parliamo del Libro dell’Esodo, che narra la fuga degli ebrei dall’Egitto, il Libro dei Salmi e quello della Rivelazione.

Una pagina non certo gloriosa della storia della missione, che non cancella l’impegno di tanti missionari per un annuncio pieno del Vangelo e della dignità che riconosce ad ogni persona. Ma chiede comunque di purificare la memoria, consapevoli che la tentazione di addomesticare la Parola di Dio in nome di precisi interessi politici ed economici è un pericolo costante per il credente.

Proprio perché il pubblico al quale si rivolgevano erano gli schiavi, questi testi vengono chiamate Slave Bibles. Delle tre che sono giunte fino ai giorni nostri, una sarà esposta nelle prossime settimane al Museo della Bibbia a Washington; il libro è stato offerto in prestito dall’Università di Fisk, un’istituzione che è stata centrale nella lotta per i diritti dei neri negli Stati Uniti.

Questa Bibbia degli schiavi venne stampata a Londra nel 1807 ma tralascia il 90% della Bibbia ebraica e il 50% del Nuovo Testamento; se la Bibbia nel canone utilizzato dalle Chiese protestanti ha 1189 capitoli, questa ne presentava solo 232. «Un volume come questo sarebbe stato usato a scopi manipolativi e oppressivi», ha dichiarato Seth Pollinger, direttore curativo del Museo della Bibbia, intervistato da The Times of Israel. Recentemente Pollinger e il suo staff hanno rinvenuto anche delle lettere di inizio Ottocento in cui vengono esplicitati i fini coercitivi con le quali erano ideate le Bibbie degli schiavi. «Non solo abbiamo la prova che questi volumi venissero distribuiti nelle colonie insieme ad altri libri, ma dalle lettere notiamo anche lo scopo che avevano: insegnare agli schiavi come essere obbedienti ai propri padroni» continua Pollinger.

In una missiva del 1808 per esempio, l’arcivescovo anglicano di Londra Beilby Porteus scrive: «Preparate un breve compendio di preghiere pubbliche…insieme a parti selezionati delle Scritture, in particolare quelle che parlano dei doveri degli schiavi nei confronti dei loro padroni».

Le parti che vennero eliminate, invece, raccontano del bisogno di libertà: «Nel Libro dell’Apocalisse per esempio c’è un linguaggio chiaro riguardo alla presenza di Dio che viene ad abitare in mezzo agli uomini, e la fine delle tenebre e della sofferenza» dichiara Pollinger. Furono lasciati fuori anche tutti i passaggi che parlano di desideri e speranze connesse alla venuta profetica.

Anche per gli studenti dell’Università di Fisk, che sono per la maggior parte cristiani e afroamericani, la Slave Bible riveste un ruolo importante. Come ha affermato Holly Hamby, professore di letteratura che tiene un corso sulla Bibbia, il fatto che certi capitoli venissero volutamente omessi, porta gli studenti a concentrarsi e riflettere proprio su questi ultimi, e a rileggere così anche la storia dei propri antenati.