Perù, la mamma dei bimbi senza futuro

Perù, la mamma dei bimbi senza futuro

A Trujillo, Judith Villalobos ha dedicato la sua vita ad accogliere minori vittime di violenze famigliari. Un’esperienza pedagogica di frontiera che ha creato ponti con l’università e trovato supporto anche in Italia

 

da Trujillo (Perù)

«Non c’è un momento della vita in cui decidi di cominciare. Il progetto si delinea facendo». È con un sorriso e lo sguardo di chi ne ha viste tante che Judith inizia la sua storia. Siamo arrivati a Trujillo da Nord, passando il confine con l’Ecuador su uno dei tanti autobus notturni stipati di frontalieri e venditrici. La città, di architettura marcatamente coloniale, sorge in un deserto polveroso, poco distante dal mare. I turisti sciamano verso i templi del Sole e della Luna, eretti dalla civiltà moche 1.500 anni fa, e stimati la più grande costruzione di adobe (tecnica con mattoni di fango) delle Americhe. Noi prendiamo invece un bus popolare che ci porta a Sud, in periferia, dove chiediamo indicazioni per la Casa de Tuty.

«Quando cercavo disperatamente un posto per accogliere i bambini mi sono imbattuta in un buco nel terreno, fuori città», ci spiegherà Judith poco dopo. «Era lo scavo già pronto per le fondamenta di una residenza che poi non si era fatta. Il terreno costava meno degli altri per questo motivo, e io ci ho fatto costruire dentro una prima struttura».

Si capisce allora la costruzione bassa, squadrata, interrata che ci troviamo davanti, di semplici mattoni a vista e porte di metallo. Ci apre una ragazzina che dimostra 13 o 14 anni, esile, timida. Solo dopo verremo a sapere che sulle sue spalle grava una storia di violenza famigliare, una violazione indicibile per la quale oggi si trova – da adolescente – a tenere in braccio un neonato. Il suo.

«All’origine di questo posto c’è una grande preoccupazione per l’infanzia. Quando ho iniziato i bambini vivevano molti disagi, e ancor più gli adolescenti che erano facile manodopera per le organizzazioni criminali; capitava spesso che venissero assoldati come sicari a 14-15 anni, in quanto non perseguibili dalla legge. L’altro business atroce era quello del sesso».

Judith Villalobos è una donna oggi 73enne, madre di cinque figli e accogliente come una mamma per tanti altri bambini. È lei la direttrice del Caef, Centro de Atención y Educación de la Familia. Una laica cristiana impegnata, una missionaria e una professionista al tempo stesso, come dimostra il suo percorso. Dopo la laurea in Servizio sociale, lavorò per molti anni con alcune grandi ong. Ma un progetto di ricerca sulle ingiustizie della società peruviana fece nascere in lei l’esigenza di impegnarsi concretamente sul fronte dei minori.

«Iniziai a frequentare i luoghi dove lavoravano i ragazzini e, insieme ad altri volontari, mi resi conto che la nostra società li abbandonava a una quotidianità fatta di dispersione scolastica, lavoro minorile, violenza di strada, alcool e sfruttamento». Da allora sono passati più di vent’anni, e l’impegno è andato crescendo in molte forme. Il cuore di tutto è, appunto, la Casa de Tuty, un Centro di assistenza residenziale che dal 2012 è accreditato – unico della regione – presso il ministero competente. Qui hanno cominciato a trovare accoglienza bambine e bambini maltrattati o che si trovavano in stato di abbandono provenienti dalla costa come dalla sierra. «Abbiamo avuto piccoli di quattro anni che erano sfruttati per trasportare acqua tutto il giorno, pena la mutilazione degli arti». Bambini della sierra, che vivono in zone aspre «dove lo Stato non fornisce alcun servizio, dove non ci sono scuola né elettricità o presidi sanitari». Altri ancora provengono dalle comunità indigene della foresta: «I genitori sono convinti che mandarli in città sia dare loro fortuna e futuro, rispetto a una condizione di arretratezza ancestrale», ma le persone che li prelevano spesso li destinano al turismo sessuale o alle miniere d’oro.

La struttura, che oggi accoglie una trentina di minori dai 2 mesi ai 16 anni, è organizzata come una casa-famiglia, suddivisa su due piani in ambienti a misura di bambino, tra i quali un cortile per il gioco, un refettorio centrale e un’aula per il doposcuola. Oltre a Judith e sua figlia Maria José, a fianco dei piccoli si alternano ogni giorno operatori per il funzionamento della casa, educatori e volontari.

«Lavoriamo prima di tutto – spiega Villalobos – per aiutare il bambino a rigenerare un vincolo naturale con la famiglia, una relazione che permetta il ricongiungimento, o che prevenga un abbandono ancora più drastico. Laddove non è possibile, a causa di traumi troppo gravi o di situazioni davvero compromesse, cerchiamo una famiglia adeguata per l’adozione, il prima possibile».

«La situazione dei minori in Perù non può essere affrontata se non si affronta il problema della sussistenza», sostiene Judith, secondo cui lo Stato deve investire sulla formazione di bambini e ragazzi perché divengano persone in grado di autosostentarsi e realizzarsi. Per questo una parte importante del progetto è il collegamento con gli universitari di Trujillo, l’ateneo del Nord del Perù: giovani avviati a carriere importanti nella società che entrano in contatto con gli operatori del Caef attraverso workshop di intervento sociale. Rendere i “primi” coscienti di come vivono gli “ultimi” è l’intuizione che si realizza quando questi studenti vengono a fare il tirocinio alla Casa de Tuty, accompagnando nella crescita e nello studio i più piccoli, a cui tra l’altro, grazie a una raccolta fondi, garantiscono centinaia di quaderni scolastici.

«Agli universitari chiediamo di diventare buoni professionisti ancorati a valori alti e attenti al bene comune». Una classe dirigente onesta, che sappia domani non trascurare le periferie esistenziali come avviene oggi. «Il messaggio è semplice: non possiamo andare avanti con una catena di ingiustizie». Pochi giorni nella casa, condividendone la quotidianità, sono un’esperienza forte. È possibile intuire i pesi insopportabili che si celano dietro gli sguardi, le espressioni e i movimenti di un bambino, così come assistere al miracolo della sua uscita dal bozzolo. Il grigiore di certi momenti viene squarciato dagli scherzi di una bimba di tre anni, tanto quanto, all’opposto, a volte la serenità di una ragazza viene oscurata da un improvviso velo di tristezza. E bastano un momento di studio insieme, un gioco allegro, un confronto tra ragazzi più grandi a dare l’immagine di un futuro possibile, di una dignità restituita e di un orizzonte che rinasce anche per le situazioni più disastrate. Non aver perso la sensibilità per tutte le sofferenze che incontra è ciò per cui Judith benedice ogni giorno. «È facile scivolare lentamente nell’indifferenza quando ne sei circondato. Ma vedere come rinasce un bambino, i sorrisi e i baci che ti dà, ti cambia la vita», racconta.

A fronte dell’enorme difficoltà a sostenere il progetto, circa dieci anni fa è avvenuto inaspettato l’incontro con i gesuiti italiani. «Cercavano un’esperienza in Perù dove portare i giovani d’estate, e un gesuita di Trujillo indicò la nostra casetta». Da quel momento, ogni estate decine di ragazze e ragazzi trascorrono un mese di servizio in questo contesto di periferia geografica ed esistenziale. Una relazione che vive anche a distanza – come accadrà quest’anno a causa del blocco imposto dalla pandemia di Coronavirus – grazie alla onlus Compagnia del Perù, aderente alla fondazione gesuita Magis, che si prodiga con iniziative di raccolta fondi e sensibilizzazione per sostenere economicamente il lavoro di Judith e dei suoi collaboratori. «I nostri costi derivano non solo dallo stipendio degli operatori ma soprattutto dallo stato di salute di bambine e bambini: molti di loro arrivano con forti problemi neurologici, o psicologici, per i quali siamo costretti ad appoggiarci alla sanità specialistica privata».

Francesca Calliari, presidente di Compagnia del Perù, racconta le novità degli ultimi mesi, come «i progetti di assistenza, supporto scolastico e prevenzione famigliare nei villaggi di Torres de San Borja, Pacasmayo e Milagros», aperti alla fine dell’anno scorso. Poi è arrivata la pandemia, che in Perù ha preso a crescere in maniera allarmante: «Da metà marzo funziona solo la casa-famiglia, con i bambini che seguono a fatica le lezioni on line, perché la scuola ha smesso di funzionare.

Ovviamente in questo contesto i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati a dismisura. I ragazzi più grandi della casa si sono responsabilizzati molto e aiutano come possono».

In questi anni, in Perù si è passati dall’assenza totale di politiche sociali «a un mare di leggi e normative che invece di facilitarci la vita la rendono più tortuosa», denuncia ancora Judith Villalobos. Sono scontri continui, sulle tasse da pagare o sul riconoscimento delle figure degli operatori. «Abbiamo creato una rete di realtà sensibili attive a Trujillo, e abbiamo alzato la voce» perché l’interesse pubblico è presente solo dove c’è un ritorno elettorale. E così si continua a lottare perché educazione e valori siano il pane quotidiano degli ultimi fra i piccoli, nel Perù di domani.