Aiutiamoci a casa nostra

Aiutiamoci a casa nostra

Il primo progetto di sostegno a distanza “Sud-Sud”, tra Brasile e India. Ma anche una scuola africana che, dopo anni di supporto esterno, si rende autonoma. Così il modello di aiuto si evolve

«Nessuno è così povero da non poter dare una mano». Padre Mateus Jensen Didonet, giovane missionario del Pime originario del Brasile, ricorre a questo detto per raccontare la nascita della prima iniziativa dal basso di sostegno a distanza “Sud-Sud”. Un progetto sviluppatosi spontaneamente «grazie a una serie di incontri non programmati: di mani disponibili, di cuori appassionati e di sguardi che cercavano un orizzonte più ampio», che hanno disegnato un quadro «su cui si scorge il tracciato delicato della Provvidenza», continua il sacerdote, oggi in missione in India.

«In occasione della mia ordinazione, avvenuta lo scorso 4 agosto – racconta padre Mateus -, nella mia parrocchia di origine a Brasilia avevamo pensato di organizzare una cena per sostenere un progetto del Pime, che però non avevamo ancora individuato. Parallelamente, alcuni parrocchiani avevano manifestato il desiderio di formare un gruppo missionario per dare continuità al contatto con le terre lontane. Quando qualcuno dimostrò interesse verso le “adozioni a distanza”, capimmo che si trattava dell’idea perfetta per quel gruppo, fatto di tante persone che lavorano o avevano lavorato nel settore dell’educazione.

Appena si sparse la voce nella comunità, subito cominciarono a presentarsi altre persone interessate a dare una mano, tra cui alcune che nemmeno conoscevamo. Da una serie di coincidenze è sembrato emergere un piano». Un piano che padre Mateus e gli aspiranti benefattori brasiliani decisero di assecondare. Anche se il passo non fu immediato.

«Siccome era la prima volta che dal Brasile si chiedeva di fare donazioni con questa modalità, non era chiaro come muoversi. L’Ufficio Aiuto Missioni è a Milano, il materiale informativo e il sito internet sono in italiano. Sono stati necessari sei mesi per organizzarsi, e solo adesso possiamo allargare il progetto ad altre persone interessate».

Partirà adesso quindi anche la promozione dell’iniziativa, che per ora coinvolge le dodici famiglie che hanno formato il gruppo missionario e otto singoli. Un inizio che ha permesso di prendere in carico otto bambini indiani, mentre altrettanti saranno inclusi a breve nel progetto. «Una volta ufficializzata la proposta, che vorremmo chiamare “Cuidado a distância” cioè “Assistenza a distanza”, speriamo di poter aiutare molti altri ragazzi», confida il missionario.

Il supporto serve in primo luogo per le tasse scolastiche, per il vitto e anche l’alloggio in ostello per i ragazzi che ne hanno bisogno. «Arrivando in India – racconta padre Didonet – ho capito quanto questo sia importante. I miei primi tre mesi in missione infatti li ho passati nella zona di Bagdogra, nel Nord dello Stato di West Bengal. Lì, in mezzo alle piantagioni di tè a perdita d’occhio, ho trovato delle famiglie che vivono con 3,70 euro al giorno (quando entrambi i genitori lavorano). Se l’azienda produttrice, proprietaria anche del terreno e delle abitazioni delle famiglie, offre il trasporto per la scuola – ossia camioncini con grate di ferro dove i bambini vengono caricati come in pollai – bene. Altrimenti l’unica soluzione è che il ragazzo alloggi in un ostello, che tra l’altro è una struttura più idonea allo studio, ma questi posti costano, e dunque, semplicemente, alcuni bambini non vanno a scuola». È chiaro che un piccolo aiuto può cambiare una vita. «Per questo sono molto contento che la gente del mio Paese e della mia parrocchia possa offrire questo contributo. Sono sicuro che l’importanza di coinvolgere nuovi donatori in contesti non necessariamente ricchi non si misura con l’entità economica dell’offerta ma con il valore dell’incontro, che arricchisce entrambe le parti, nell’uguaglianza e nella certezza che tutti partecipiamo alla grande missione per costruire un mondo migliore».

Altro continente – dall’Asia all’Africa -, altro giovane missionario del Pime – questa volta è padre Giovanni Demaria -, simili sfide quotidiane per garantire un’adeguata formazione ai ragazzi. In gran parte della Guinea Bissau la situazione del sistema educativo è disastrata. Dove le strutture sono presenti e agibili, spesso mancano gli insegnanti: «Lo Stato non riesce a pagarli, e loro scioperano: per almeno quattro mesi ogni anno scolastico si rifiutano di insegnare», spiega padre Giovanni. Il risultato è che le famiglie preferiscono tenersi il denaro della retta per comprare altro e – anche qui – i ragazzi rimangono senza istruzione. A meno che non intervengano le scuole private, come quella fondata dal Pime a Bissau 25 anni fa (il direttore allora era padre Dionisio Ferraro), e che attualmente è frequentata da quasi mille bambini, dall’asilo alle elementari.

Il nome dell’istituto è tutto un programma: “Solidariedade”. Le rette hanno un costo accessibile, ma permettono di pagare i professori, comprare il materiale didattico e offrire agli studenti qualche opportunità in più: «L’anno scorso, per esempio, abbiamo inserito nel programma anche delle lezioni di musica», racconta padre Demaria. «È una buona scuola, quasi sempre gli alunni proseguono gli studi fino all’università».

In questi anni, lo sviluppo della struttura è stato fedelmente accompagnato dai benefattori esterni, in particolare attraverso i sostegni a distanza. «Le “adozioni” ci hanno permesso di mitigare le rette, di aggiornare il curriculum educativo e fornire ottimo materiale didattico, di eseguire alcune opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e di ottimizzare la stessa gestione». Tanto che, gradualmente, la scuola è riuscita a raggiungere una sostanziale autonomia: «Sono ormai tre anni che registriamo un certo equilibrio di bilancio – conferma il missionario – e adesso abbiamo deciso che è ora di cominciare a camminare con le nostre gambe». Si concluderanno, dunque, anche i programmi di sostegno a distanza: i donatori verranno “dirottati” sui bambini delle scuole dei villaggi rurali più remoti, come Mansoa e Bissorã, dove operano le missionarie dell’Immacolata. Per fare partire, anche lì, il circolo virtuoso dello sviluppo: più istruzione, più crescita, più indipendenza. «Quanto seminato a favore di questi bimbi – padre Giovanni ne è sicuro – rimane e porta buon frutto per il loro futuro di uomini e donne, pronti a contribuire a far germogliare la propria terra».