Siria: la nostra Pasqua dopo il terremoto

Siria: la nostra Pasqua dopo il terremoto

Da Aleppo parla Nadine, giovane impegnata con la parrocchia nel sostegno di chi ha perso tutto nel sisma del 6 febbraio: «I danni non sono solo negli edifici, ma dentro le persone». Suor Jihane da Damasco: «Non abbiamo niente, ma apriamo le porte». La sua intervista anche nella puntata di Finis Terrae

Sono passati due mesi, ma Nadine la ricorda come se fosse ieri la sera in cui la terra ad Aleppo ha tremato e all’improvviso, ancora una volta, la sua vita è stata sconvolta. «Se ci penso, mi sembra un brutto sogno», racconta. «La prima scossa mi ha svegliata di soprassalto e ho pensato: “È la fine”. Poi sono corsa fuori dalla mia camera e mi sono precipitata in strada, dove la gente gridava, in preda al panico». Nadine Khoudary conosce bene la paura. Nata 31 anni fa in quella che era la capitale economica siriana, era giovanissima quando il conflitto investì la sua quotidianità di studentessa e volontaria nella parrocchia latina della città, gestita dai frati francescani nel quartiere di Al Azizieh.

«Nell’estate del 2012 arrivarono le prime voci dell’occupazione di alcune aree di Aleppo da parte di vari gruppi armati», ricorda. «Poi, in pochi giorni, la città fu divisa in due e noi fummo trascinati in guerra». La battaglia ai piedi dell’antica cittadella avrebbe infuriato per più di quattro anni e sarebbe costata almeno 31 mila morti, la distruzione quasi totale degli edifici, l’azzeramento del tessuto economico e produttivo, del sistema sanitario e scolastico. «La nostra vita quotidiana era ancora condizionata dalle conseguenze della guerra: scarsità di cibo, mancanza dell’elettricità e del riscaldamento…. ogni giorno con il pensiero di come sopravvivere. E poi, il 6 febbraio, è arrivato il terremoto».

Se la giovane e la sua famiglia si sono salvate, sono tanti i conoscenti che, purtroppo, sono rimasti intrappolati sotto le macerie. «In particolare, abbiamo tutti il cuore spezzato per la perdita di abouna Imad Daher, sacerdote cattolico melkita che per noi era un punto di riferimento straordinario». La comunità, tuttavia, non ha potuto lasciare che lo shock e la sofferenza avessero il sopravvento: «I bisogni materiali erano troppi!», conferma Nadine, che lavora come psicologa specializzata per l’infanzia e l’adolescenza, oltre a essere guida scout, educatrice e catechista.

«Subito dopo il sisma, la chiesa dei francescani ha aperto le porte a chi era rimasto senza casa, cristiani e musulmani, fornendo cibo, coperte, abiti… Già da un paio d’anni in parrocchia avevamo una cucina che normalmente offre 1.200 pasti al giorno per i poveri: oggi, con l’aiuto di tanti volontari, siamo arrivati a circa cinquemila pasti. E tutte le chiese della città si stanno impegnando allo stesso modo». I giovani sono in prima fila: «Con il nostro gruppo, una trentina di persone, cerchiamo di portare supporto alla gente, mantenendo il sorriso nonostante la paura e il dolore. Anche se molti miei coetanei cercano di emigrare, io penso che il mio posto sia qui: c’è molto da fare! Ora sto mettendo a frutto ciò che ho imparato in un corso per il supporto psicologico post trauma: i danni non sono solo nei palazzi, ma anche dentro le persone, in particolare i bambini».

Per curare le ferite dell’anima, la parrocchia organizza preghiere comunitarie ma anche momenti conviviali allietati da canti, al suono della chitarra. «Questa Pasqua sarà particolarmente dura, ma noi cristiani crediamo nella vita, il nostro è il Dio della vita, della gioia, dell’amore», afferma Nadine. «Quindi celebreremo la Messa insieme e, se possibile, organizzeremo qualche semplice iniziativa per dare un po’ di sollievo alle famiglie. È vero, ci manca tutto, ma restiamo convinti che, dopo l’oscurità che stiamo attraversando, anche noi, come Gesù, risorgeremo».

Sarà invece una Pasqua di accoglienza quella di suor Jihane Atallah, direttrice della più grande scuola cristiana di Damasco, fondata un secolo fa ma trasferita solo da un anno negli ampi spazi messi a disposizione dal Patriarcato nel quartiere di Jaramana, periferia sud-est della capitale. «A causa della guerra, negli anni scorsi avevamo dovuto lasciare la nostra sede di Mleiha e anche molti dei nostri 2.500 allievi per rifugiarci nell’area di Bab Charqi: oggi gli studenti, cattolici e musulmani, sono 1.500», racconta la religiosa di Santa Giovanna Antida originaria del Sud della Siria. Il conflitto in questi anni ha pesantemente influito sull’opera delle suore della Carità nella capitale: due siriane, una egiziana e una libanese, di cui tre lavorano nella scuola «mentre una si dedica stabilmente al servizio sociale per venire incontro alle necessità provocate dalle violenze prolungate: povertà, disoccupazione, traumi psicologici».

Eppure, quando la tragedia del doppio terremoto si è abbattuta sul Nord del Paese, le suore e le famiglie locali non hanno voluto rinunciare a fare la propria parte per alleviare la sofferenza di chi stava persino peggio di loro. «Subito ci siamo mobilitati per raccogliere e inviare agli sfollati indumenti e materiale di primo soccorso», racconta suor Jihane, sottolineando il contributo offerto da «tante persone che, proprio come la vedova del Vangelo, hanno condiviso le loro minime risorse materiali». Non solo. «Di fronte al dramma di chi aveva perso tutto, io e le mie consorelle ci siamo chieste cos’altro avremmo potuto fare. E abbiamo pensato agli spazi ancora vuoti della nostra nuova scuola: perché non metterli a disposizione per qualche famiglia rimasta senza un tetto?».
È iniziata così le preparazione dei locali, ancora una volta con il supporto di tanti amici del quartiere: «Il gruppo degli universitari legati alla Fondazione Thouret ci ha aiutato a comprare i materassi, i viveri, a predisporre le stanze e i servizi igienici, mentre le mamme si sono messe a disposizione per cucire le lenzuola e cucinare».

Quando da Latakia, duramente colpita dal sisma, sono arrivati i primi sfollati – stremati e sotto shock, con i bimbi spaventati al seguito – la scuola di Jaramana ha aperto le porte, così come il convento in centro città e le parrocchie. «Con i cristiani organizziamo anche momenti di preghiera alla luce delle candele e ogni sera in chiesa c’è una semplice veglia quaresimale, che qui da noi è in rito greco-cattolico», racconta suor Jihane. «In questo momento di dolore, davanti alla morte che sembra avere la meglio, la nostra missione di religiose è ancora più importante: è dura, ma cerchiamo di essere segni di speranza per la nostra gente».


COME AIUTARE

La Fondazione Pime ha attivato una raccolta fondi per le popolazioni colpite dal devastante terremoto in Turchia e Siria. Le offerte sostengono l’impegno di due realtà: in Turchia la Caritas del Vicariato apostolico dell’Anatolia, in Siria i frati minori della Custodia di Terra Santa. È possibile donare sul sito centropime.org o con conto corrente postale n. 39208202 intestato a Fondazione Pime, indicando la causale “Emergenza terremoto Turchia e Siria – S147”.