Filippine, i dimenticati di Marawi

Filippine, i dimenticati di Marawi

Nel maggio 2017 il mondo scoprì che Marawi – popolosa città islamica delle Filippine – era caduta in mano a milizie locali islamiste che l’avevano proclamata capitale dello Stato islamico nel Sud-Est asiatico. Tre anni dopo il cuore della città giace ancora in macerie con 120 mila sfollati. Il vescovo Edwin De la Peña: «Ci hanno abbandonati nel retrobottega della storia»

 

Ha vissuto in questi giorni il terzo anniversario dell’inizio della battaglia che l’ha ridotta in macerie la città filippina di Marawi, capoluogo della provincia filippina di Lanao del Sur, sull’isola di Mindanao. Erano i giorni in cui un blitz finito male dell’esercito filippino che avrebbe voluto arrestare Isnilon Hapilon, il leader del gruppo islamista Abu Sayyaf, si trasformava in una clamorosa azione dei suoi fedelissimi e di alcuni gruppi locali alleati che assumevano il controllo di buona parte di Marawi, proclamando questa città di circa 200 mila abitanti a maggioranza musulmana come capitale dello Stato islamico nel Sud-est asiatico. Un’occupazione accompagnata dalla devastazione della locale cattedrale di Santa Maria e la presa di alcuni ostaggi tra cui il vicario generale della diocesi padre Chito Suganob e alcuni altri suoi parrocchiani.

Fu l’inizio di un’assedio condotto dall’esercito che sfociò in una dura battaglia durata cinque mesi. In quell’estate padre Giorgio Licini raccontava così dalla periferia di questa città la situazione delle migliaia di sfollati interni causati da questo scontro. Alla fine gli ostaggi furono liberati e i miliziano sconfitti; ma al prezzo di 1100 morti tra cui anche una quarantina di civili e una devastazione generale che fu paragonata a quella di Aleppo.

Subito da Manila abbondarono le promesse per una ricostruzione rapida della «città liberata dall’isis». Ma la verità è che tre anni dopo Marawi resta una città fantasma: le statistiche dell’Unchr parlano tuttora di 126,775 persone (23.355 famiglie) che sono sfollate in campi e situazioni di fortuna alla periferia della città o in altree zone della provincia di Lanao del Sur. Mentre il cuore della città resta un cumulo di macerie, comprese quelle della cattedrale di Santa Maria: proclamata immediatamente dall’esercito «zona rossa» per il pericolo raoppresentato dagli ordigni inesplosi resta tuttora inaccessibile per i suoi abitanti. E in questa situazione terribile, dove il distanziamento sociale è letteralmente impossibile, Marawi sta affrontando sotto le tende anche l’emergenza Covid 19.

In questo contesto è stato il vescovo della prelatura di Marawi, mons. Edwin De la Peña, lui stesso sfollato ormai da tre anni, a far sentire la voce della sua comunità. «Dalla fine della guerra qui è successo ben poco – ha raccontato all’agenzia di informazione della Conferenza episcopale filippina -. A dominare è ancora l’immagine simile a Ground Zero dei primi giorni della distruzione. Le tante altre emergenze succedutesi nelle Filippine ci hanno relegato nel retrobottega della storia, al punto da essere completamente spariti dall’attenzione nazionale. Ma tutti gli sfollati qui vivono ancora in rifugi temporanei. Il futuro resta incerto per tutti noi».

Foto: Flickr / EU ECHO in the Philippines