India, i dilemmi della campagna vaccinale dai numeri record

India, i dilemmi della campagna vaccinale dai numeri record

New Delhi ha iniziato a somministrare il vaccino anti Covid-19 con l’obiettivo di coprire almeno la metà dei suoi 1,35 miliardi di abitanti. Ma deve trovare un difficile equilibrio tra l’uso interno e le possibilità economiche offerte dall’esportazione del vaccino AstraZeneca. Mentre non ci sono dati certi sull’efficacia del locale Covaxin

Sabato 16 gennaio l’India ha dato il via alla sua campagna vaccinale, la più imponente al mondo, con l’obiettivo di immunizzare almeno metà della sua popolazione di 1,35 miliardi di persone e creare quell’immunità di gregge che faciliti l’uscita dalla crisi pandemica.

Con 10,5 milioni di casi accertati e quasi 102mila decessi il Paese vive ora un regresso dei contagi dopo i picchi di settembre 2020. Sono molto gravi, però, le conseguenze sul piano economico, produttivo e sociale, pagate soprattutto dai gruppi meno favoriti della società, sia in termini di impoverimento e disoccupazione, sia di vittime. Non a caso, la maggiore concentrazione di contagi e decessi è stata registrata nelle aree più popolose e depresse delle metropoli prima che il coronavirus si diffondesse sull’intero territorio ad esclusione di poche aree.

Il primo ministro Narendra Modi, leader del partito nazionalista Bharatiya Janata al potere dal 2014, nel suo discorso seguito dall’esecuzione di inni della tradizione induista ha sottolineato potenzialità e difficoltà di un impegno senza precedenti sul piano sanitario e, con le lacrime agli occhi, ha ricordato i sacrifici affrontati finora dal personale medico. Tuttavia, indicando che i politici non saranno tra le categorie privilegiate dalla campagna vaccinale, non ha confermato se si sottoporrà a vaccinazione.

Nei fatti, quanto avviato ieri con grande evidenza e con la vaccinazione prevista nel primo giorno di 300mila persone, tra cui medici, infermieri e addetti a servizi essenziali, potrebbe essere il vero banco di prova del suo secondo mandato consecutivo iniziato nel maggio 2018.

L’impegno è immane, basato su 3.006 centri vaccinali in tutto il Paese dove – secondo i piani – dovrebbero essere immunizzati con due dosi di vaccino 300 milioni di indiani entro i primi 6-8 mesi. Sicuramente inclusi da subito 30 milioni di dipendenti del settore medico-sanitario e altre categorie in prima linea a contrastare a diffusione del Covid-19, seguiti da 270 milioni di ultracinquantenni e individui a rischio per patologie preesistenti.

Come altri Paesi, anche l’India cerca di arrivare a disporre di un numero sufficiente di dosi in tempi relativamente brevi. Primo ad essere utilizzato quello frutto dell’impegno dall’Università di Oxford/AstraZeneca e il Covaxin sponsorizzato invece dal governo e prodotto localmente dalla Bharat Biotech con non pochi dubbi, soprattutto per l’impossibilità di disporre ancora per qualche settimana dei dati riferiti all’ultima fase della sperimentazione. Tuttavia, molti milioni di dosi sono state prenotate dalle autorità sanitarie indiane e altre dall’estero e questo vale anche per altri vaccini di produzione locale entrati nella fase di produzione. Di conseguenza il governo si trova a dovere mediare tra due necessità: quella di utilizzare al più presto una quantità enorme di dosi (la sola Bharat Biotech ha segnalato di poterne produrne 700 milioni entro l’anno), ma tenere conto degli interessi di aziende locali come di quelle straniere che pure operano in India (quello di AstraZeneca è prodotto dal Serum Institute of India). Senza contare il dilemma tra approfittare in pieno della produzione locale per uso interno oppure garantire maggiori possibilità all’esportazione che favorirebbe il rilancio del Paese.

Tutto poi ha un costo e questo è un aspetto sottolineato soprattutto dai critici dell’azione governativa. Si teme che il drenaggio delle risorse pubbliche diventi eccessivo, con il rischio che la campagna vaccinale aggiri o releghi ai margini buona parte della popolazione meno favorita. Resta il mercato libero, dove il Covaxin, ad esempio, costerebbe poco più di 13 dollari a dose. Un importo che, si stima, il 70% degli indiani difficilmente potrebbe permettersi.