AL DI LA’ DEL MEKONG
Pandemia, quel che resta della teologia…

Pandemia, quel che resta della teologia…

Penso che anche Dio non voglia essere tirato in ballo se la posta in gioco è solo un’opinione e non la vita e la morte dei Suoi figli

 

Il coronavirus e la sua virulenza, la preghiera del Papa e di tanti credenti, ripropongono il tema del rapporto fra il Male e il mistero di Dio. Michele Martelli in un articolo raccomanda di lasciare le «vecchie superstizioni religiose» che intendono la pandemia come un castigo divino a favore di un approccio più moderno e illuminato. «L’ipotesi/Dio – scrive – è inutile, superflua, nulla spiega» dal momento che cadrebbe comunque in contraddizione. Se fosse un castigo di Dio non si capisce perché Dio si accanisca indistintamente su buoni e cattivi (penso ai tanti dottori morti sul campo). Se si trattasse di un Dio buono, ancora peggio! Perché permette il Male, se è buono?

Per un verso o per l’altro Dio cade in contraddizione e si rivela un’ipotesi che non spiega niente. Non serve nemmeno supplicarlo come ha fatto il Papa, «Ho chiesto al Signore: ferma l’epidemia con la tua mano» (intervista rilasciata al Corriere, 18-3-2020, citata da Martelli) perché – conclude – «la salvezza dal virus è affidata, più che ad un presunto intervento divino, alle tecniche e procedure delle scienze naturali e bio-mediche». Condivido, ma solo in parte.

Mi ha aiutato invece quello che ha scritto Mauro Grimoldi su questo tempo vuoto e sospeso. Ché per lui è piuttosto un tempo di costruzione… Per i tanti medici e infermieri che si prodigano, per chi spazza le strade, per chi è chiuso in casa, «questo è un tempo denso e decisivo per chi è toccato nella carne dalla malattia e, avvertendo l’incombenza della fine, è portato a confrontarsi con il fine, il destino della vita, domandandosi, e noi insieme a lui, se quel che si potrebbe lasciare da un momento all’altro andrà irreparabilmente perso o sarà ritrovato, tutto, interamente, compiutamente e per sempre».

Porsi la questione di Dio dall’esterno, filosoficamente, scientificamente, non basta. Non bastano quei paradigmi di pensiero evocati da Martelli. Non bastano quando si approssima la fine e senti, senti che l’uomo merita infinitamente di più. «Chi è toccato nella carne dalla malattia», chi avverte l’incombenza della fine, sente la gravità della posta in gioco. Diversamente Dio scade ad argomento da salotto, ridotto dalle nostre ideologie.

Ricordo di aver discusso di aborto con un’amica. Lei favorevole, con ragioni plausibili. Sembrava sterile continuare. Ho quindi posto la questione diversamente e lo ho chiesto, «perché, quando ti aspettava, tua mamma non l’ha fatto?». Avrebbe potuto, la legge lo consentiva. «Plausibili motivi?». Ce ne sono sempre, ciascuno fa valere i propri, in regime di autodeterminazione. «Saresti stata la sua quarta figlia». «Ma non l’ha fatto, perché?». In quell’istante la stessa questione si riproponeva non più in modo astratto, ma reale, nella carne.

Perché non si tratta di avere ragione, ma di avere vita. La posta in gioco non è la mia o la tua opinione ma la mia e la tua vita. La nostra origine, il nostro destino. Per meno non si discute e penso che anche Dio non voglia essere tirato in ballo se la posta in gioco è solo un’opinione e non la vita e la morte dei Suoi figli. L’immagine stessa di un Dio castigatore, dopo Cristo, non funziona più. E non vale la pena parlarne, nemmeno per recensire atteggiamenti ancora diffusi nel vasto e variegato “mondo cattolico”.

Con il tempo ho compreso che la questione di Dio non si pone dall’alto. Perché Lui non sta in alto. Come se dall’alto decidesse, chi “si” e chi “no”. La questione di Dio si pone dal basso, cioè da dentro una relazione, da dentro quel «grande lavoro della vita e della morte» di cui parla Grimoldi. Il grande assente nel testo di Martelli, “Pandemia, quel che resta della teologia”, è Gesù Cristo. La Sua incarnazione-passione-morte-resurrezione. Non è possibile pensare di fare teologia, o anche solo teodicea, e lasciare fuori Lui. «È inutile, superfluo e nulla spiega»! Tanto più dentro una simile pandemia. Vi sono poi orizzonti propri solo dei mistici, non fanatici, ma quelli che la storia della Chiesa ci ha consegnato e che non possono essere liquidati preferendo la cronaca o citando sempre padre Livio di Radio Maria. Stimabile. Ma altro sono i Dottori della Chiesa che hanno alimentato la fede e l’intelligenza di milioni di credenti. Uno per tutti, San Giovanni della Croce. Stanco della chiacchiere fa parlare la sposa nella sesta strofa del suo Cantico Spirituale, che supplica Dio, «Ah! chi potrà guarirmi? / Alfin, concediti davvero; / e più non mi mandare / da oggi messaggeri / che non sanno dirmi ciò che bramo!».

Perché il problema sono le parole troppo corte, asfissianti (come il virus), incapaci di dire la profondità del cuore dell’uomo. E di Dio. Grimoldi chiude con Les Murray, poeta australiano, che in una lirica dedicata al padre morente ripete continuamente «Don’t die, Dad»! E alla fine, irriverente, si rivolge a coloro che vorrebbero distoglierlo da Dio così, «Snobs mind us off religion / nowadays, if they can. / Fuck thém. I wish you God» (1).

 

  1. Qui il testo completo della poesia. «Gli snob cercano di tenerci alla larga dalla religione / oggi, se possono. / Si fottano, io ti auguro Dio».