«Porto all’Onu la voce degli ultimi»

«Porto all’Onu la voce degli ultimi»

SPECIALE «FRATELLI TUTTI»
«Dopo 75 anni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite va riformata, ma resta fondamentale»: parla Mara Rossi, per 20 anni medico in Zambia, che a Ginevra rappresenta la Comunità Papa Giovanni XXIII

 

«È necessaria una riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, affinché si possa dare concretezza al concetto di famiglia di Nazioni» (Fratelli tutti, 173)

 

«Quando ero un medico missionario a Ndola, in Zambia, nel nostro ospedale fu ricoverato Martin, un mio paziente di 12 anni orfano di entrambi i genitori, morti di Aids, gravemente malato anche lui e che era ormai arrivato agli ultimi giorni di vita. Quando andai a trovarlo, occhi scavati e debolissimo, gli chiesi: “Che cosa vuoi che ti porti domani quando tornerò a visitarti? Un frutto? Una bibita?”. E lui mi rispose: “Dottoressa Mara, portami le medicine”». Negli ultimi undici anni Mara Rossi, riminese 64enne impegnata da una vita con la Comunità Papa Giovanni XXIII, ha portato il grido di Martin tante volte davanti a capi di Stato, esperti e diplomatici internazionali. Ha potuto farlo perché, dopo vent’anni di missione in Africa, la Comunità l’ha inviata a continuare la sua opera in favore degli ultimi in un contesto lontano anni luce dalla povertà estrema di un Paese che allora arrancava nelle classifiche dei Paesi in via di sviluppo: la sede ginevrina delle Nazioni Unite.

«Quel cambiamento repentino fu destabilizzante, ma in seguito la mia esperienza sul campo, l’aver visto con i miei occhi gli effetti di meccanismi economici perversi avrebbe rappresentato per me una grande forza. Il complimento più bello che ho ricevuto all’Onu è stato: “Si vede che sei stata davvero in mezzo ai poveri!”. Certo, questa familiarità diventa anche una condanna, perché non è semplice passare dalla resilienza quotidiana di chi non ha niente al mondo della diplomazia che, in mezzo al lusso, spesso si muove nella logica dei giochi politici e delle belle dichiarazioni d’intento teoriche».

Eppure, 75 anni dopo la sua creazione, l’Organizzazione delle Nazioni Unite resta una realtà che non solo ha permesso risultati importanti per l’umanità ma non ha esaurito il proprio ruolo. E operando al suo interno le ong, comprese quelle che fanno riferimento al mondo ecclesiale e missionario, possono fare la differenza.
La dottoressa Rossi ne è convinta: «La società civile può accreditarsi all’Onu tramite l’Ecosoc, il Consiglio economico e sociale», spiega. «Secondo la rappresentatività di ogni singolo ente, si può essere accolti in status consultivo “generale”, come avviene ad esempio a Caritas internationalis che opera in 196 nazioni, in status “speciale”, come noi della Comunità Papa Giovanni XXIII, attivi in 40 Paesi, oppure nella categoria “roster”, quella delle realtà più piccole, inserite in un elenco e disponibili per eventuale consultazione.

Noi abbiamo la possibilità di fare interventi scritti e orali in tutti gli eventi organizzati nelle diverse sedi dell’Onu, sia quelli ufficiali sia quelli a margine, dove possiamo portare testimoni dal campo ed esperti e offrire un contributo sui temi che meglio conosciamo e più ci stanno a cuore. Li stessi che sosteniamo attraverso l’azione di lobbying e di advocacy, ossia promozione, anche bilaterale, che portiamo avanti con gli Stati, per invitarli a stilare o appoggiare risoluzioni ad hoc».

Dal diritto alla salute a quello alla solidarietà, sono innumerevoli le istanze su cui Mara Rossi si impegna ogni giorno, da ormai undici anni. «Appena arrivati a Ginevra, le altre ong ci consigliarono di concentrarci su un piccolo sotto-tema specifico, ma lo stile di condivisione a 360° della nostra Comunità non ci avrebbe permesso di selezionare una sola priorità a discapito di un’altra. Così cominciammo subito con l’advocacy per l’accesso ai farmaci – nel cuore il grido di Martin e dei tanti come lui -, con il diritto dei bambini alla famiglia e all’educazione, con la lotta al traffico di esseri umani, seguendo l’insegnamento del nostro fondatore don Oreste Benzi che andava sulle strade per recuperare le donne vittime di tratta».

E ancora l’attenzione al tema delle migrazioni e la tutela dei rifugiati, «forti tra l’altro della nostra pratica con i corridoi umanitari, mentre fu l’esperienza del corpo civile di pace creato con l’Operazione Colomba a dare sostanza al nostro contributo, nel 2016, al riconoscimento del diritto alla pace. Oggi, due delle priorità su cui siamo impegnati sono il diritto allo sviluppo, approvato già nel 1986 (con l’unico voto contrario degli Usa e otto Paesi astenuti, tutti europei…) ma che fatica a essere implementato, e il riconoscimento del diritto alla solidarietà internazionale, su cui siamo finalmente arrivati a una bozza di dichiarazione».

Una bozza in cui c’è anche lo “zampino” della dottoressa Rossi: «Don Oreste sosteneva che la solidarietà “post factum”, quella riparativa, che interviene dopo una catastrofe naturale o una guerra, è importante ma non va a incidere sulle cause di vulnerabilità profonde di un popolo o di un contesto. A farlo, giocando d’anticipo e agendo a livello della giustizia, è invece la solidarietà “ante factum” e proprio quest’ultima, che l’esperto indipendente Onu ha ribattezzato “preventiva”, è stata inserita nella risoluzione grazie alla nostra azione».

Certo, dall’Assemblea generale, così come dal Consiglio per i diritti umani, non escono direttive stringenti ma solo quelle che la dottoressa romagnola definisce «pie esortazioni». Eppure – aggiunge – «esse hanno un peso politico, non solo perché chi non si adegua deve assumersene la responsabilità anche a livello di immagine, ma pure perché contribuiscono alla promozione di una cultura diversa. Poi si vedrà solo tra 20 o 30 anni se queste indicazioni andranno a finire nelle leggi dei singoli Stati, provocando un effetto nella vita delle persone».

Per non lasciarsi scoraggiare servono molta pazienza e fiducia. Come ce ne vogliono leggendo, a 75 anni di distanza, le finalità elencate nell’articolo 1 della Carta dell’Onu: mantenere la pace e la sicurezza, sviluppare relazioni fraterne tra le nazioni, favorire la cooperazione nella soluzione dei problemi e nella promozione dei diritti e dello sviluppo.
Osservando la situazione attuale, il bilancio pare un po’ deludente… «Io rimango una sostenitrice dell’Onu, perché se non fosse esistita non avremmo oggi, per esempio, una Convenzione sui diritti del fanciullo o un documento contro la discriminazione delle donne, né sarebbero assodati tanti diritti civili e politici, sociali, economici e culturali. E resta fondamentale il suo scopo di mantenere il multilateralismo e la risoluzione pacifica dei conflitti. Ma è vero che, da tanti punti di vista, quest’organizzazione è in crisi e deve essere riformata, come sottolinea il Papa nella sua ultima, bellissima, enciclica».

Tra i punti dolenti più evidenti Mara Rossi identifica proprio l’insorgere di quei populismi e nazionalismi citati da Bergoglio, «che hanno fortemente delegittimato l’Organizzazione. Non è un momento facile per l’equilibrio tra le nazioni, senza contare che esiste un problema finanziario, non foss’altro che per la scelta di Trump di ritirare gli Usa dal Consiglio per i diritti umani e sospendere i contributi all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)». Ma quali sono le riforme strutturali più urgenti? «Sicuramente va cambiato il funzionamento del Consiglio di Sicurezza, che riflette ancora i rapporti di forza emersi dalla Seconda guerra mondiale, così come devono essere riformate le “Bretton Woods Institutions”: Banca Mondiale e Fondo Mone­tario Internazionale, nelle quali il potere degli Stati ricchi è preponderante», sostiene Mara Rossi. «Resta l’importanza di un’organizzazione globale super partes: non deve certo essere il G20 a legittimare l’ordine globale».

Eppure, anche sulle stesse agenzie Onu pesa a volte il dubbio di una mancata imparzialità, basti pensare alle ombre calate, in questi mesi di pandemia globale, sull’Oms, le cui politiche secondo alcuni osservatori sarebbero influenzate dai finanziatori, anche privati. «È vero che, negli anni, la quota dei finanziamenti privati rispetto a quelli statali è progressivamente aumentata, e questo comporta rischi reali. Però io ho partecipato all’Assemblea generale e all’Executive board dell’Oms e ho visto come si prendono le decisioni quando si parla di budget: a votare sono gli Stati membri, non i donatori privati, così come le risoluzioni emergono dai negoziati con gli Stati. Quindi è giusto tenere alta la guardia, anche perché ci possono essere pressioni delle case farmaceutiche, ma non avallerei complottismi».

Resta il fatto che le sfide da affrontare globalmente sono enormi. Se l’Onu nacque dall’urgenza di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”, oggi – a giudizio della dottoressa Rossi – la principale minaccia per l’umanità è quella ambientale. «L’emergenza dei cambiamenti climatici porta con sé molte questioni legate ai diritti umani. Per fortuna vedo una coscienza molto diffusa nelle istituzioni comunitarie, a cui ha contributo anche il Papa con la sua Laudato si’. Ora, nella Fratelli tutti, Francesco rilancia l’esigenza della lotta alla fame e di una governance globale per le migrazioni. Non so se sarà ascoltato ma è evidente che, al punto di interconnessione a cui siamo arrivati, o ci salviamo insieme, attraverso una fratellanza universale capace di affrontare le crisi che richiedono soluzioni collettive, o periremo tutti».