Quando la presidente Casellati sfilò al Pime (per la moda etica)

Maria Elisabetta Alberti Casellati – eletta qualche giorno fa alla guida del Senato italiano – nel 2007 al Pime di Milano sfilò insieme ad altre parlamentari nell’ambito di una campagna per l’equità nelle condizioni di lavoro nell’industria tessile nel Sud del mondo. Un impegno che ci permettiamo di ricordarle oggi, perché – come recitava l’appello che sottoscrisse in quell’occasione – merita di essere portato di nuovo all’attenzione dei presidenti di Camera e Senato…

 

 

È la prima donna a essere stata eletta presidente del Senato: da sabato 24 marzo Maria Elisabetta Alberti Casellati riveste la seconda più importante carica dello Stato italiano. Ma nel suo curriculum c’è anche un impegno che vogliamo ricordarle: quello in favore delle condizioni di lavoro di chi nel Sud del mondo lavoro per le multinazionali del tessile. Lo prese proprio al Pime, il 24 maggio 2007, durante una sfilata di moda un po’ particolare di cui fu protagonista insieme ad altre parlamentari nell’ambito di Tuttaunaltrafesta, l’annuale Fiera del vivere solidale promossa dai missionari.

In quel periodo le botteghe del Commercio equo e solidale cominciavano ad affacciarsi anche nel mercato dell’abbigliamento, ponendo con forza la questione della «moda etica», cioè dell’importanza della difesa delle condizioni di lavoro in quelle fabbriche del Sud del mondo dove con la delocalizzazione molti marchi della moda trasferivano la produzione senza farsi troppe domande sulle condizioni di lavoro. Di qui l’idea di coinvolgere alcune parlamentari di diverse forze politiche per una sfilata un po’ particolare tenuta nel Museo Popoli e Culture del Pime. Un gesto evidentemente simbolico per richiamare l’attenzione su un tema per noi importante e che ebbe tra le protagoniste – appunto – anche Maria Elisabetta Alberti Casellati, già allora senatrice.

Oggi che è stata eletta alla presidenza di Palazzo Madama ci permettiamo di ricordarle questa iniziativa, perché crediamo importante rilanciare questo problema che resta di drammatica attualità. In questi undici anni il commercio equo e solidale è cresciuto molto nel settore dell’abbigliamento, ma non si può far finta di non vedere che molte altre realtà sono andate nella direzione opposta. C’è un’immagine che dovrebbe restarci particolarmente impressa: quella del Rana Plaza, la fabbrica tessile del Bangladesh crollata il 24 aprile 2013 lasciando sotto le sue macerie oltre 1100 vittime, per la maggior parte donne che lavoravano in condizioni inaccettabili. Quanto il problema delle condizioni di lavoro nel tessile resti una questione spinosa – ma anche quanto la mobilitazione internazionale conti – lo dimostrano i risultati della Campagna Abiti Puliti, impegnata per ottenere il rafforzamento dei diritti dei lavoratori dell’industria della moda globale.

Anche la politica però è chiamata a fare la sua parte. Ed è per questo alla neo-presidente del Senato rilanciamo l’appello che proprio in quella giornata di undici anni fa venne letto dalle sue colleghe di allora Emanuela Baio Dossi e Paola Frassinnetti. Nella speranza che nel suo nuovo incarico Maria Elisabetta Alberti Casellati si ricordi anche di questa promessa fatta alle lavoratrici del Sud del mondo:

«Il mercato dell’abbigliamento è inondato di prodotti diversi per colore, stile, marca e qualità ma quasi tutti uguali per le condizioni di lavoro ingiuste umilianti e oppressive in cui sono realizzati. Purtroppo siamo infatti in un sistema economico dove sempre più si predilige la delocalizzazione della produzione in Paesi in cui lo sfruttamento del lavoro minorile, il divieto di organizzazione sindacale, salari al di sotto della soglia di povertà e le condizioni di lavoro disumane e insalubri sono all’ordine del giorno.

Proprio questo dà il senso della nostra presenza qui. Essere qui per noi significa stare vicino a quelle categorie e in particolare alle donne che nel mondo sono sfruttate per le produzioni tessili. Da Milano che è la capitale della moda italiana noi donne parlamentari e di governo volevamo con questa sfilata fare un gesto politico con l’intenzione di lanciare un appello. Invitare il mondo della moda a sentirsi sempre più responsabilizzato su questo fronte e dunque a mettere in atto processi di responsabilità sociale che tengano presente non solo le strutture interne, ma anche i luoghi di produzione esterni e in particolare il controllo di tutta la filiera produttiva.

Considerato che le esperienze del commercio equo in materia di abbigliamento sono agli esordi o in fase di perfezionamento volevamo invitare il mondo della moda a farsi carico di qualche progetto per aiutarlo a farlo crescere e a svilupparsi nello studio di modelli vendibili nel mercato occidentale.

Infine come nostro impegno personale ci faremo garanti di chiedere ai presidenti di Camera e Senato di far approvare un ordine del giorno in cui si invita il Parlamento ad affrontare il tema dello sfruttamento del tessile per arrivare a studiare forme di collaborazione tra imprese, sindacati e associazioni in cui si possano delineare percorsi comuni di collaborazione».