A Huacho, l’ossigeno di don Antonio

A Huacho, l’ossigeno di don Antonio

Dallo Zambia al Perù, passando per le parrocchie dell’arcidiocesi di Milano: gli ottant’anni di don Antonio Colombo, “fidei donum” in prima linea anche nell’emergenza provocata dal Coronavirus

 

«Ho fatto 13: tredici anni nella stessa parrocchia…». A Huacho, in Perù, insieme ai suoi ottant’anni – festeggiati in dicembre – ha stabilito anche il suo record personale, don Antonio Colombo. Sacerdote fidei donum dell’arcidiocesi di Milano, missionario in tre continenti (Africa, America Latina e tanta Chiesa ambrosiana), don Antonio lo ha fatto al termine di un anno speciale, segnato anche in Perù dalla pandemia, oltre che dalla crisi politica. Ma non c’è lockdown in grado di fermare un vulcano dal cuore grande.

Classe 1940, brianzolo doc (nato a Dolzago e cresciuto a Casatenovo) don Colombo è sacerdote dal 1964. Una decina d’anni in oratorio a Cerro Maggiore e poi dal 1974 al 1986 la prima esperienza come fidei donum in Africa a Kafue, la missione ambrosiana nello Zambia. Anni da giovane missionario alle prese con il ciniangia – la lingua locale – ma anche con le scorribande delle milizie del conflitto che insanguinava il vicino Zimbabwe. Anni di servizio instancabile e di stupore davanti alla fede della gente semplice. Senza contare una minaccia decisamente particolare: «Quando finì il mio servizio, venne il segretario dell’Unip, un partito politico locale – racconta don Colombo -. Disse alla gente: “Non conosco bene le leggi ecclesiastiche, ma se dipende dal nostro partito siamo pronti a mettere il padre agli arresti. Ha fatto tanto bene a Kafue, non possiamo permettere che se ne vada”…».

Nonostante gli applausi dei due vescovi presenti la proposta non passò. Così nel 1986 la missione di don Antonio ricominciò dall’Italia: dalle capanne dello Zambia passò ai palazzoni di Cologno Monzese («ero il parroco degli studi di Canale 5», ricorda). Poi nel 1993 una nuova sfida pastorale a Milano nel quartiere di Greco («lì invece c’era il Centro sociale Leoncavallo»); prevosto anche dei nuovi milanesi venuti da lontano, come i ragazzini cinesi di seconda generazione.

Nel 2001, infine – complice una sosta forzata per installare tre by-pass – il ministero nella parrocchia di San Carlo a Seveso. Con le pile nuove, però, il cuore ricomincia a battere per l’annuncio ad gentes.

«Nel 2005 faccio una vacanza in Africa invitato dall’arcivescovo amico di Lusaka, mons. Medardo Mazombwe – racconta -. Si riaccende la fiamma delle missioni: chiedo di tornare a volare per il mondo e il cardinale Tetta­manzi è favorevole. Mi dice: il Perù ti aspetta, la città di Huacho è la tua nuova parrocchia».

Così nel 2007, a 67 anni don Colombo riparte per un nuovo continente: questa volta tocca alla città costiera di 150mila abitanti, nella regione a nord di Lima, dove dal 1989 sono presenti i fidei donum dell’arcidiocesi di Milano. Con i confratelli più giovani destinati a Pucallpa, nell’Amazzonia peruviana, oggi i sacerdoti milanesi rimasti a Huacho sono due ottantenni: don Antonio ha infatti trovato ad aspettarlo don Vittorio Ferrari, che dopo essere stato per tanti anni il cappellano dell’ospedale di Sesto San Giovanni dal 2005 è parroco a Sayan, nella zona agricola che sale verso le Ande. Lui invece è stato destinato alla cattedrale di San Bartolomeo («a 200 metri dall’Oceano Pacifico» annota). Ma il titolo non deve ingannare: anche in Perù uno come don Antonio non sta certo fermo; basta scorrere il suo blog padreantoniocolombo.com per trovarlo tra i malati dell’ospedale, con i detenuti del carcere, all’Istituto San Francesco dove si insegna l’italiano agli studenti universitari e a chiunque lo desideri, tra i ragazzi delle periferie.

La sua passione per il pallone, poi, non l’ha proprio persa. «Ho sempre camminato per il mondo con il calice della mia prima Messa e un paio di scarpe da calcio», confida. Così, arrivando in parrocchia, ha notato subito che mancava un campo come si deve per i ragazzi; e allora nel 2010 puntuale è arrivato lo “Stadio 70”. Solo che a lui col pallone piace fare sul serio; così nel 2014 è nata l’Accademia della Cattedrale, una scuola calcio per i ragazzi dei quartieri più poveri. Da qui alla nascita del Club Deportivo padre Antonio Colombo è stato un attimo. E adesso un centinaio di ragazzi tra i 7 e 18 anni con la divisa dalla maglietta gialla si danno da fare in campo. E don Antonio gongola quando un suo attaccante viene notato dalle giovanili di qualche grande club peruviano…

Tra le esperienze singolari vissute dal parroco della cattedrale di Huacho c’è pure un battesimo amministrato a una donna di 93 anni. «Giulia veniva da un villaggio sulle Ande, non ha mai avuto la carta di identità e nemmeno la tessera sanitaria – spiega don Antonio -. Uno dei modi legali per essere riconosciuta è presentare un certificato di battesimo. Si dice cattolica, ha sempre partecipato alle feste e ai riti della Settimana santa quando al villaggio una volta all’anno arrivava il sacerdote; ma è vissuta negli anni del terrorismo quando si bruciavano le chiese e gli archivi parrocchiali… Così hanno bussato alla mia porta: “Padre, ci faccia un grande favore, battezzi la mamma”. C’è voluto qualche giorno per stabilire la probabile data di nascita, i nomi dei genitori, cercare una madrina. La cerimonia è stata semplice, serena, con gli occhi di Giulia puntati verso di me, mentre stringeva, orgogliosa, la candela accesa dei tre sacramenti: battesimo, cresima e prima comunione».

Nel gennaio 2020 don Antonio ha avuto la gioia di accogliere a Huacho l’attuale arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini. Nel giugno 2019 a lui e a don Vittorio che ormai alla soglia degli ottant’anni chiedevano il permesso di restare ancora in Perù aveva risposto: «Ascoltate lo Spirito Santo e non trascurate la salute». Pochi mesi dopo, però, ha pensato bene di andare a verificare di persona. La festa di quelle giornate speciali per tutto il gruppo dei fidei donum ambrosiani ha però lasciato presto il posto alla grande preoccupazione per il dilagare del Coronavirus che anche sulle Ande ha colpito in maniera pesante.

Con un problema particolarmente grave a Huacho: la mancanza di un impianto per la produzione dell’ossigeno per l’ospedale cittadino. A quel punto è stato il vescovo locale, monsignor Antonio Santarsiero Rosa, a mettere in piedi una campagna per l’acquisto all’estero dei macchinari necessari per rifornire le bombole d’ossigeno, così essenziali per combattere la pandemia. Per racimolare i fondi necessari a Huacho hanno dato vita anche a una versione locale di Telethon, senza contare la mobilitazione in Italia degli amici di don Antonio ma anche di tanti peruviani immigrati nel nostro Paese. Nel bel mezzo dell’impresa, però, proprio quando i fondi raccolti venivano finalizzati con gli acquisti, è stato il vescovo stesso a essere ricoverato in ospedale con una forma molto grave di Corona­virus. Per settimane la diocesi di Huacho è stata in apprensione per la sua sorte, prima di poter tirare un sospiro di sollievo. Nel frattempo, però, è stato il parroco della cattedrale a portare avanti l’operazione “Respirare per poter vivere”, occupandosi dei pezzi dell’impianto in arrivo dalla Slovacchia, dagli Stati Uniti e dalla Cina. Alla fine il 28 ottobre – nell’ambito delle celebrazioni della solennità del Señor de los Milagros, la grande festa della devozione popolare in Perù, quest’anno forzatamente senza processioni – è potuta avvenire la benedizione, con la consegna ufficiale all’ospedale cittadino.

«È stata una festa piena di emozioni e speranza – commenta don Colombo -. Una pagina positiva della storia di Huacho. Una pagina scritta dalla gente con cuore generoso e sostenuta da tanti amici in tutto il mondo. Possiamo finalmente respirare, riempiendo i polmoni e il cuore dell’aria pura della bontà, della pace e della generosità. Ringraziando tutti quelli che hanno reso possibile la realizzazione di questo sogno in favore della salute di tutti».

Neanche il tempo di festeggiare, però, e il Perù a novembre si è trovato scosso dall’ennesima crisi politica: «In un intreccio di voti, dimissioni e colpi di scena, abbiamo avuto tre presidenti in una settimana – racconta -. Alla fine il Congresso ha eletto come capo dello Stato ad interim il deputato Francisco Sagasti, che porterà il Paese alle elezioni generali di quest’anno. Ma la democrazia peruviana continua a rivelarsi fragile; noi continuiamo a pregare perché regnino la giustizia, l’amore e la pace».

Intanto con la sua bicicletta, finito il lockdown, don Antonio Colombo è tornato a girare per le strade di Huacho: «Come fa uno a sapere se è accolto o no, pur venendo da un Paese lontano? – commenta -. La prova del nove per me è sempre stata la voce dei bambini che ti chiamano e gli occhi sorridenti delle persone anziane che ti avvicinano. A Huacho questo continua a succedere. Dopo tredici anni ho messo la mascherina, ma c’è sempre qualche bambino che mi riconosce e grida contento: “È padre Antonio!”. E allora dico: grazie Signore Gesù, sei tu che guidi i miei passi».