«La nostra Tunisia sull’orlo del baratro»

«La nostra Tunisia sull’orlo del baratro»

I rappresentanti del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino, Nobel per la pace nel 2015, in occasione di un evento all’Università Bicocca di Milano, raccontano la drammatica situazione del Paese che, travolto dal boom dei prezzi del cibo, affronta un grave stallo istituzionale

La nuova bozza di Costituzione tunisina che verrà sottoposta a referendum a luglio? «Anche se fosse un buon testo – e ancora non lo sappiamo – per la gente che ormai fatica persino a mangiare questo è l’ultimo dei problemi». È tranchant Abdessatar Ben Moussa, ex presidente della Lega Tunisina dei Diritti dell’Uomo e Nobel per la pace 2015 insieme agli altri tre rappresentanti del cosiddetto Quartetto del dialogo nazionale, l’organismo che nei momenti più critici del post rivoluzione dei gelsomini riuscì a salvare il cammino della transizione democratica, messo a rischio da rigurgiti di violenza e dalle tensioni scoppiate tra la componente laica e quella islamista della compagine politica.

Una navigazione che oggi, mentre la Tunisia subisce i pesanti contraccolpi della guerra in Ucraina che ha fatto schizzare alle stelle i prezzi del cibo, è di nuovo in pericolo a causa di «molti venti contrari: divergenze e opposti interessi dei partiti che sono ancora in preda alla corruzione, una crisi finanziaria ed economica drammatica, forze interne ed esterne alla nazione a cui fa comodo che la Tunisia resti instabile, e poi la svolta illiberale che ha avuto un’accelerazione un anno fa»: Houcine Abbassi, ex segretario dell’Unione generale dei lavoratori tunisini (Ugtt), il più importante sindacato del Paese a sua volta insignito del Nobel nel 2015, fa riferimento al colpo di mano del presidente Kais Saied che lo scorso 25 luglio, in piena crisi Covid-19, sospese il parlamento (poi sciolto meno di tre mesi fa) e sollevò dall’incarico il primo ministro, concentrando nelle sue mani tutti i poteri. Una deriva autoritaria rafforzata dai recenti colpi assestati alla magistratura, con la scusa della necessità di «sradicare la corruzione».

La preoccupazione per un processo di cui non si riesce a intravedere l’esito è stata condivisa dai tre rappresentanti del Quartetto che ieri, all’Università Bicocca di Milano, hanno partecipato all’evento “Quale democrazia per quale pace?”. In particolare l’ex presidente dell’Ordine nazionale degli avvocati tunisini, Mohammed Fadhel Mahfoudh, ha sottolineato il mutamento di clima nel suo Paese in questi ultimi anni: «Oggi i cittadini sono talmente esasperati da accettare una riduzione dei propri diritti civili e politici in cambio delle promesse, spesso populiste, di avere garantito almeno il pane quotidiano». Per questo, secondo Mahfoudh, «il presidente Saied ha avuto la strada spianata nella sua decisione di rovesciare il sistema. Il problema è che oggi il processo di cambiamento, a cominciare da quello per la nuova Costituzione a cui stanno lavorando solo rappresentanti scelti dallo stesso Saied, è tutto nelle mani di un uomo solo, mentre l’unica via per superare questa impasse è gettare di nuovo le basi per un dialogo nazionale inclusivo, che coinvolga la società civile».

Non è un caso che molte organizzazioni tunisine si siano rifiutate di partecipare, con un ruolo puramente consultivo, al processo costituente. «Il nostro sindacato ha detto di no – conferma Abbassi – visto che non siamo stati coinvolti nella preparazione di una bozza né ci è stato offerto uno spazio reale». D’altra parte – ammette – «non siamo certo dispiaciuti di vedere estromessi dal Parlamento partiti politici corrotti che in questi anni hanno pensato solo ai propri interessi e mai a quelli della nazione! La questione vera è che non esiste dignità senza pane: la pace non si realizzerà finché non metteremo in atto un sistema economico al servizio dell’uomo».

Un concetto condiviso da Mohammed Fadhel Mahfoudh, secondo cui «anche i grandi donatori come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale condizionano i propri aiuti all’influenza politica sui popoli e spesso finiscono per incentivare meccanismi clientelari a livello locale». Sulla stessa linea Ben Moussa, che alla richiesta di un commento sulla possibile rimozione del riferimento all’islam nella nuova Costituzione, rilancia: «Per ora si tratta solo di voci, e comunque ciò che al nostro popolo serve oggi non sono parole ma serie riforme economiche e sociali, che possano dare un futuro alla gente».