Libano: dopo l’esplosione il nuovo lockdown

Libano: dopo l’esplosione il nuovo lockdown

Anche nel Paese dei Cedri – già alle corde per la bancarotta politico-sociale e la tragedia di agosto – il Coronavirus sta mettendo in crisi gli ospedali. E da sabato scatterà un nuovo lockdown. La denuncia del vescovo di Batroun, mons. Khairallah: «Aumenteranno ulteriormente povertà e disoccupazione, mentre i nostri leader politici si fanno la guerra per spartirsi il potere, come se niente fosse»

 

Si parla molto in questi giorni dell’Europa come l’epicentro della «secondo ondata» del Coronavirus. Ma anche in altre aree del mondo la ripresa dei contagi e delle vittime causate dal Covid-19 sta creando problemi gravissimi, spesso resi ancora più insostenibili dalla concomitanza con altri problemi. Il caso più clamoroso è quello del Libano, il Paese portato tragicamente sotto i riflettori nell’agosto scorso a causa della devastante esplosione che dal porto di Beirut ha seminato morte e distruzione. Anche qui la crescita dei casi di contagio e delle morti va di nuovo avanti da settimane e gli ospedali sono sul punto di soccombere. Per questo stamattina il premier da mesi dimissionario Hassan Diaf ha decretato un nuovo lockdown generale che entrerà in vigore sabato 14 novembre e durerà almeno fino al 30 novembre, anche se lascerà aperti porti e aeroporti, perché il Paese non è nelle condizioni di poter permettersi un isolamento totale.

Il provvedimento scatta dopo che in questi giorni il Libano ha superato la soglia dei 2.000 nuovi casi giornalieri (in un Paese di appena 4 milioni di abitanti). Ma al di là di questo dato sono i racconti dagli ospedali a rendere il quadro della situazione, con un numero sempre più alto di medici e infermieri contagiati e le terapie intensive occupate al 90-95% dai pazienti Covid.

Una situazione difficilissima che la crisi politica non aiuta certo ad affrontare. «Si prevede che l’inflazione quest’anno supererà il 50%, con i prezzi medi del cibo in aumento del 141% rispetto al 2019 – racconta mons. Mounir Khairallah, eparca (vescovo) della diocesi cattolica maronita di Batroun, in questa intervista che pubblichiamo sul numero di questo mese di Mondo e Missione – . Le misure di contenimento del Coronavirus stanno provocando un ulteriore aumento dei tassi di povertà e disoccupazione. Più della metà della popolazione rischia di non essere in grado di soddisfare i propri bisogni alimentari di base entro la fine dell’anno». E mentre la gente lotta per sopravvivere, oppure si rassegna a tentare la via dell’emigrazione – si parla di 300 mila richieste di visti per l’espatrio – «i nostri leader politici si fanno la guerra per spartirsi il potere, come se niente fosse!».

Il 22 ottobre l’incarico di formare un nuovo governo è stato assegnato all’ex premier Saad Hariri; ma la strada resta in salita e la contraddizioni che hanno portato il Paese in questa situazione ancora lontane dall’essere risolte. Per questo il patriarca maronita Boutrous Rai ha lanciato nei giorni scorsi un nuovo appello a «prevenire in ogni modo che una parte interna tragga la propria forza da una potenza straniera, per dar vita a una agenda e a politiche incompatibili con l’interesse e la sovranità del Libano».

A sostegno della popolazione che paga il prezzo di tutte queste tragedie la Fondazione Pime con AsiaNews ha lanciato nell’agosto scorso la raccolta fondi straordinaria “AN04 – In aiuto a Beirut devastata”, che resta attiva supporta l’impegno di Caritas Libano. Per i primi interventi la Fondazione ha già inviato 50 mila euro, ma le necessità restano enormi. Chi lo desidera può contribuire donando a questo link.