Marittimi, i prigionieri del Covid-19

Marittimi, i prigionieri del Covid-19

Sono tuttora 150 mila i lavoratori del trasporto marittimo bloccati in nave per l’emergenza Coronavirus. E c’è chi non riesce scendere a terra ormai da quindici mesi. L’appello dell’Organizzazione marittima internazionale per questo settore che nel mondo movimenta il 90% delle merci: «Siano riconosciuti come operatori di servizi essenziali»

 

Nove merci su dieci nel mondo si spostano via mare. Ma che cosa succede se una pandemia arriva a bloccare all’improvviso i collegamenti marittimi tra Paesi? È il dramma nascosto che in queste settimane stanno vivendo almeno 150 mila marittimi nel mondo a causa dell’emergenza Coronavirus. Secondo la denuncia dell’unione internazionale dei sindacati del settore almeno un lavoratore su sei delle circa 60mila navi da cointainer che in tempi normali solcano gli oceani si trova di fatto «prigioniero» a bordo perché le autorità locali dei Paesi dove sono bloccati non permettono loro di scendere a terra per via delle rigidissime regole per evitare la diffusione del contagio.

È una situazione che si trascina ormai da mesi ma fatica comunque a trovare sbocchi, per via dell’aumento vertiginoso dei numeri dell’epidemia in area cruciali per il trasporto marittimo. C’è un lato economico del problema con la difficoltà anche per le aree del mondo che stanno uscendo dal lockdown a far ripartire i rifornimenti per le aziende e la rete commerciale. Ma ancora più grave è il lato umano della vicenda: tanti Paesi non solo non permettono alle navi di caricare e scaricare nei porti, ma nemmeno ai marinai di scendere a terra. E questo rende impossibile anche il ricambio degli equipaggi che invece dovrebbe essere un diritto garantito dalle normative internazionali sul lavoro in mare. Ci sono addirittura situazioni paradossali di marittimi che si trovano a bordo da ormai 15 mesi quando la Convenzione internazionale del mare prevederebbe periodi di imbarco mai superiori agli 11 mesi. E le organizzazioni dei lavoratori denunciano un numero crescente di problemi di salute fisica e mentale legati a questa situazione.

Per questo motivo l’Imo – l’Organizzazione marittima internazionale – ha lanciato un appello in vista del 25 giugno, l’annuale giornata dedicata ai lavoratori del mare: chiede che a questa categoria i governi riconoscano lo status di operatori di servizi pubblici essenziali, in modo da poter uscire da questo empasse. Soprattutto serve una cooperazione internazionale per farsi carico di questo problema: si calcola che anche solo per il ricambio degli equipaggi servirebbe una disponibilità immediata di voli in grado di spostare almeno 300 mila persone.

Nell’assistenza ai marittimi in questo momento così difficile è in prima linea la rete delle Stellae Maris, le cappellanie presenti nei porti di tutto il mondo. E lo stesso Papa Francesco nei giorni scorsi ha voluto rivolgere un messaggio di vicinanza alla gente del mare in questo momento difficile: «Sappiate che non siete soli e non siete dimenticati – ha detto loro in un videomessaggio -. Il vostro lavoro in mare vi tiene spesso lontani, ma voi siete presenti nelle mie preghiere e nei miei pensieri, così come in quelli dei cappellani e dei volontari della ‘Stella Maris’. Il Vangelo stesso ce lo fa ricordare, quando ci parla di Gesù con i suoi primi discepoli, che erano tutti pescatori, come voi. Oggi desidero mandarvi un messaggio e una preghiera di speranza, una preghiera di conforto e di consolazione contro ogni avversità e nello stesso tempo incoraggio tutti quelli che lavorano con voi nella pastorale della gente di mare».

Foto: Flickr / International Maritime Organization