Afghanistan, negoziati in stallo e sangue sui media

Afghanistan, negoziati in stallo e sangue sui media

Il 2 marzo tre giornaliste dell’emittente afghana Enikass Tv sono state assassinate a Jalalabad, nell’Afghanistan orientale. L’Afghan Journalists Safety Committee conferma che il Paese è tra i più pericolosi al mondo per gli operatori dell’informazione: almeno nove i giornalisti uccisi dall’inizio dei colloqui di pace con i Talebani

 

Lo scorso 7 marzo, il presidente afghano, Ashraf Ghani, ha offerto ai Talebani la prospettiva di nuove elezioni. Una mossa arrivata giorni dopo l’incontro con l’inviato statunitense Zalmay Khalilzad, mirato a riattivare i colloqui in corso da sei mesi in Qatar che, però, finora hanno visto pochi progressi.

Il coinvolgimento dei Talebani alla guida del Paese è l’obiettivo finale, ma restano notevoli le divergenze sui rispettivi ruoli e sulla presenza militare straniera, in particolare statunitense. Solo un accordo definitivo, tuttavia, potrebbe risolvere i molti problemi ancora presenti, a partire dalla violenza diffusa che ha una molteplicità di attori, ma come vittima anzitutto il progresso del Paese.

Profondo disagio e rabbia ha provocato l’uccisione di tre dipendenti di una rete televisiva, assassinate il 2 marzo a Jalalabad, nell’Est del paese. Le donne, la più giovane solo 18enne, sono state colpite in due diversi agguati dopo avere lasciato l’emittente Enikass Tv; gli omicidi sono stata rivendicati da un gruppo locale affiliato al sedicente Stato islamico con un messaggio dove si definiscono le tre donne “giornaliste che lavoravano per una delle stazioni leali al governo apostata dell’Afghanistan”.

Negli ultimi tempi un buon numero di giornalisti, attivisti e magistrati sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco o con ordigni esplosivi collocati sotto le loro auto. Una crescente violenza da parte dei gruppi jihadisti che ha costretto anche molti a trovare rifugio nella clandestinità o all’estero.

Un’escalation che sembra collegata ai colloqui di pace avviati lo scorso anno tra governo e Talebani e, nella situazione caotica del paese, non è facile comprendere se la responsabilità reale sia di questi ultimi che cercano di intimidire le autorità e la popolazione eliminando personalità critiche verso la loro ideologia e timorose di un loro ritorno al potere, oppure se siano in azione gruppi estremisti e jihadisti in contrasto sul territorio con i Talebani. L’appartenenza di questi ultimi all’etnia Pashtun, maggioritaria nel paese, fa sì che si siano più volte opposti anche con le armi a ingerenze esterne di gruppi che mirano a inserire l’Afghanistan nell’orbita del califfato globale.

Son almeno nove i dipendenti o collaboratori di mass media nel paese uccisi dall’inizio dei colloqui di pace a settembre 2020. Un dato fornito dall’Afghan Journalists Safety Committee che conferma come il paese asiatico sia tra i più pericolosi al mondo per gli operatori dell’informazione.

Il triplice omicidio a sangue freddo delle tre giovani donne ha sollevato sdegno, sia per la ferocia ma anche perché è sembrato ancora un a volta parte di un piano criminale per togliere alle donne afghane quanto negli ultimi anni sono riuscite a recuperare in dignità, visibilità sociale e impiego. «Non so perché i militanti prendano di mira ragazze innocenti. Chiedo loro di smettere di prendere come bersaglio gli operatori dei mass media», ha dichiarato un collega che ha parlato delle donne come di “persone di famiglia”. Una famiglia che aveva già pagato un prezzo di sangue lo scorso dicembre con l’assassinio di un’altra dipendente dell’emittente avvenuto con modalità simili agli ultimi.

 

Foto: Flickr.com